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sabato 12 febbraio 2011

Cambiamenti.

SEBBEN CHE SIAMO DONNE

Sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
per amor dei nostri figli
sebben che siamo donne
paura non abbiamo
per amor dei nostri figli
in lega ci mettiamo

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà


E la libertà non viene
perché non c’è l’unione
crumiri col padrone
crumiri col padrone
e la libertà non viene
perché non c’è l’unione
crumiri col padrone
son tutti da ammazzar

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà


Sebben che siamo donne
Paura non abbiamo
abbiam delle belle buone lingue
abbiam delle belle buone lingue
sebben che siamo donne
paura non abbiamo
abbiam delle belle buone lingue
e ben ci difendiamo

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà


E voialtri signoroni
che ci avete tanto orgoglio
abbassate la superbia
abbassate la superbia
e voialtri signoroni
che ci avete tanto orgoglio
abbassate la superbia
e aprite il portafoglio

A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori
I vuruma vess pagà
A oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori, e noialtri lavoratori
a oilì oilì oilà e la lega crescerà
e noialtri lavoratori vogliam la libertà

Tutto scorre, cambia la storia, cambiano le lotte. Di fronte al fatto che i signoroni ormai il il portafoglio lo aprono anche troppo e proprio per comprarsi delle donne, è tempo di riprendersi la libertà di andare a dir qualcosa. Ognuno è libero di vendersi, ognuno sia pur libero di comprare, ma a casa propria, nel proprio salotto, sul proprio divano. In parlamento anche no, di fronte alla nazione quasi fosse un buon esempio, anche no. Che tutto questo sia fatto passare per sano, per giusto, per ganzo, basta. Il rapporto uomo donna è qualcosa che sfiora la sacralità, è roba che non può essere inquinata da ciò che viene fatto passare per normale al telegiornale della sera. Il fatto che nasca un movimento che alza un po' il capo per la dignità della donna non significa che si stiano mettendo alla gogna le donne con moralismi facili. Ognuno sia appunto libero di fare ciò che vuole. Ma dire no, dire basta, è altro. E' qualcosa che ha a che fare con l'immagine femminile che si sporca di più ogni giorno, è qualcosa che ha a che fare con un'identità femminile che viene deprivata e annichilita e fatta passare per vincente solo perché può farsi ritoccare dal chirurgo plastico, indossare griffe e apparire sui giornali di gossip. Sentire un presidente del consiglio che suggerisce alle giovani precarie di sposarsi un uomo ricco, è serio? Non lo è, basta. Si sono mosse le donne, ma in piazza ci saranno tanti uomini, è certo. Perché è nel rapporto tra i due sessi che si crea un'identità femminile e una maschile. E certi personaggi non hanno a che vedere con nessuna delle due. E non si tratta della dignità femminile o di quella maschile, siamo arrivati a intaccare la dignità tutta, punto. Basta. Anche senza logo, anche senza slogan, anche senza manifesti, basta, andiamo a dirglielo forte, non se ne può più.


martedì 28 luglio 2009

€ 24,00. Spesi bene.



Ho libri accatastati, film arretrati, cure rimaste indietro. Sciatterie, rincorse, orari infami, morsi fugaci, mezz'ore strappate. Sto come rubando. Sto come facendo scorta. Sto. Sto dove non mi pare che dovrei stare. Mi dico Calma, stai solo andando, l'importante è non fermarsi. E allora Calma. Dovreistudiarema. Mi si agitano dentro le domande, chiudo gli occhi e mi suona dentro una voce, Lasciati un po' in pace, riapro gli occhi e non mi lascio in pace mai ugualmente, guardo e non afferro, mi sento zoppa, mi sento monca, mi sento guercia. Non voglio essere zoppa, non voglio esser monca, non voglio esser guercia. Mi terrorizza la possibilità delle fughe da fermi, forse temo le rivoluzioni che non scoppiano, forse temo le rivoluzioni che esplodono. In tutto questo mare e onde e correnti mi aggrappo forte a quello che mi può salvare: io so cosa voglio, io so cosa non voglio.

giovedì 23 luglio 2009

Dolcezze.

Integrale al miele o alla mora? Ci penso poco quasi nulla Facciamo uno e uno. Brava! E me ne vado con le mie dolcezze e tutti i pensieri che non riprendono un filo da giorni. Non stagnano, non si fermano proprio. Passano. Come se dopo tanto tempo di parole e fili lievi atti all'uscita dal labirinto adesso avessi a che fare con la pratica. Penso ad un film visto tempo fa, ai moschettoni i paranchi le corde e a piccoli uomini che tornano fuori dall'abisso. Tornano alla luce. E poi salto altrove e penso a C******* che chiudendo una pagina web scuote la testa e ride e sentenzia Ma cosa cercano questi? Cercano il buio, è proprio vero... e io non l'avevo mai sentito dire, mi piace subito questo detto e lo fo mio, perché in quelle parole antiche di saggezza popolare e semplice trovo quel nodo, trovo l'ignoto del momento. Accosto due cose che non c'entrano niente e che però si incastrano perché entrambe mi girano in testa intorno allo stesso fulcro. Cercare il buio, venire alla luce... Immagini, semplicissime e dense. Sono in movimento, sono in attesa. Come trovarsi d'un tratto in un canale immobili e chiedersi se si sta uscendo nella luce o si sta scendendo nella tenebra. Dice che giù nei buchi neri è stimolante, che stuzzica la curiosità. Eppure mi soppeso e resto dell'idea che l'ascensione è la via migliore. Potrei star ferma ancora un po' e poi risalire, mi dico. Mi interrogo, a volte. Mi sto fermando o sto nascendo? Ascolto il mio corpo che si attorciglia, si chiude, si nasconde, mi fido di lui quando il pensiero si confonde in troppe seghe. Mi mangio i cornetti e placo negli zuccheri le mie amare associazioni.

martedì 30 giugno 2009

Cartoni, impressioni.

L'enigma di Kaspar Hauser, W. Herzog
Pensavo a ben altre immagini, eppure al momento del click ho scelto questa e allora questa sia. Forse quello che cercavo parte da ben più lontano di quanto io pensi e necessita di un cappello romantico, vista la scelta della foto. Non mi spavento, come ho imparato da un maestro di quest'arte appoggio le dita e lascio andare il filo del pensiero. Forse andando avanti capirò proprio perchè ho scelto questo incipit. Kaspar Hauser. Kaspar Hauser è una sorta di simbolo del puro, riprende credo quello che era il mito del buon selvaggio, forse; colui che scevro da qualsiasi sovrastruttura può leggere la realtà e trovarla distorta dal dogma e dalle leggi sociali, dalle regole morali e dalle dottrine che accecano tutti gli altri. Kaspar appare come dal nulla, non ha mai avuto rapporti sociali, non sa cosa sia il mondo. Eppure apprende e assorbe con avidità tutto ciò che arriva dall'esterno e con la sua sensibilità si impegna a comprendere, a dare risposte, a porre domande. L'enigma forse per qualcuno è la sua inspiegabile apparizione dal nulla. Per altri potrebbe essere la sua diversità. Quella capacità di saper vedere senza fedi ciò che lo circonda. E' una presenza che smuove, Kaspar. E questo fa di lui una vittima facile. E'un elemento di disturbo. In quanto tale deve essere annullato. E viene eliminato brutalmente a livello fisico e poi a livello umano. La sua umanità, tutta la sua sensibilità vengono ridotte da una visione meramente organicista, la sua diversità viene spiegata con una stupida autopsia, confrontando le misure del suo cervello con quelle della media. Sì. Forse ritrovo proprio il filo, mi torna tutto. Annullamenti. Da quelli partivo, ho scelto infine la foto appropriata. Perché prendo le misure dei miei annullamenti personali nel rapporto con gli altri. Mi balocco con immagini da bambini per trovare risposte ai corpi dei grandi. Penso all'indietro. Quando eravamo piccoli era facile e senza tante seghe funzionava. Giocando scegliersi i ruoli: se c'erano un maschio e una femmina uno era il babbo e l'altra la mamma. Uno Lupin e l'altra Margot. Lei Candy Candy lui Terence. O Anthony, ma troppo sfigato. O lo zio William ma troppo indaginoso. Robe così. Automaticamente. Se si era due bambine idem, la storia, magicamente, non cambiava. A quel punto una legge strisciante assegnava a una delle due il ruolo del maschio. Che cazzo, non si poteva giocare a Candy Candy e Annie? Alla mamma e alla zia? NO. Non c'era sugo, non ci passava nemmeno per il capo. Perché no? Mah, che dire, forse perché si era sane e si intuiva di già che il sugo stava tutto in quella differenza lì. Che tutto il meglio era in quello strano mix di maschile e femminile che si cercano. Veniva automatico. Un po' più grandi c'erano Mimì e Midori, vero, ma lì ci si stroncavano le braccia a pallonate e quello ci distraeva dal fatto che in quel cartone maschi non se ne vedevano praticamente mai, probabilmente tagliati dalla censura italiana, chi lo sa, ma esattamente come nella nostra realtà di donnine in formazione, bruttine e sgraziatelle. O forse era la preparazione a ciò che ci avrebbe atteso dopo, quando da VideoMusic ci facevano l'occhiolino tutti quei machi di plastica che non erano altro che tiratissime icone gay. Povera generazione di future donne ingannate dalla lacca e i colori fluo. Mbà. Comunque. Da piccoli tutto semplice. Poi qualcosa cambia. Non viene più niente in automatico. La cosa si complica. E allora succede che incontri un tipo che ha una maglietta di Lupin e ti dice Se tu fossi un cartone animato chi saresti? E tu che credi di non averla nemmeno vista quella maglietta rispondi a bomba "Ghemon!" e poi ci ripensi e trovi che in quella risposta lì hai già deciso di chiudere il canale di rapporto relegandoti un ruolo che non è il tuo. Che in automatico, a prescindere dall'esito, tu sei Margot, bellina, tu sei Fujiko, cara la mia donnina popputa. No. Io voglio essere un samurai giapponese ascetico e taciturno adesso. E tagliare a metà i palazzi se mi va. Ok. Che sia. Fasciati bene il torace, va anche bene così, in fondo, perché da piccoli tutto è automatico, ma non si può restare piccoli. Si cresce e tutto si complica. Se si è bravi si riesce a non incasinare troppo il tutto e a restare presenti, coscienti anche delle proprie chiusure, che prima o poi passeranno e i Ghemon lasceranno di nuovo il posto alle Fujiko. Affila la katana, nell'attesa. E riprendi il filo, appunto, ma del ragionamento, non della lama. Cartoni animati. Potentissima, la piccola Ponyo mi insegue in questi giorni. Lei, che tenacissima si sforza per farsi uscire le gambe per ritrovare Sosuke, le mani per poterlo abbracciare e correndo sulle onde imbizzarrite dell'oceano, incurante dello tsunami che provoca, innamorata e felice, Ponyo lo raggiunge e lo stringe così forte da lasciargli il viso ammaccato. Ha cinque anni Ponyo, è già capace di scegliere la propria felicità. E per quella lottare. Da piccolo pesce, o medusa, Ponyo sceglie di essere donna, lei. Io resto in stand-by, con i canali serrati. Ma va bene anche così, ogni cosa ha il suo tempo. E il mio tempo lo uso bene, ed è già tanto. Vado a trovare un amico e parlando con lui il canale apre uno spiraglio ed esce fuori un'immagine importante e forse più di una. Perché viene fuori che è come se il bambino crescendo venisse caricato di sassi pesanti che lo ingobbiscono. Il senso del cammino sta nel riuscire ad accorgersi dei pesi superflui e toglierseli di dosso uno ad uno, attraverso i rapporti sani che facciamo, scegliendo i giusti compagni di viaggio, liberarci delle zavorre e alleggerirsi per ritornare alla libertà del bambino. Ma poi ci guardiamo e altro prende forma, vista la mia paura a intraprendere il cammino, che poi mi tocca realizzarmi! Un sorriso, un pensiero cupo, una paura. Sì, una paura in fondo. Perché ogni cosa ha anche il suo tempo, è meglio non andare troppo in fretta, meglio non togliere peso tutto insieme o si può volare via. E' come se fossimo alberi. Ognuno ha una parte un po' sciupata che può essere potata via. Ma va tolta pian piano, per dare tempo alla chioma di creare nuovi rami che compensino la perdita. Una persona ha nei suoi lati "malati" anche una parte di sicurezza, fan parte della sua identità. Guarire non significa amputarli in blocco, altrimenti nell'identità si forma un vuoto dentro al quale si può perdere tutto e impazzire. Rimuovendo un ramo per volta, bilanciarlo con un ramo sano. Crearli, con fantasia. Allora tutti possiamo guarire? No. Purtroppo no. Allora? Come funziona quest'immagine? Eh. Funziona che ho paura perché penso che poi, probabilmente, esistono degli alberi che all'apparenza sono forti quanto gli altri e la loro chioma tornerebbe sana con lo stesso giochino, ma sotto all'apparenza i loro tronchi sono cavi, devastati dall'azione di un parassita che gli ha divorato il dentro. Alberi cavi per i quali, per quanto equilibrio possa esserci nella cura della chioma, il tronco rischia di schiantarsi inaspettatamente e rovinare a terra, spezzati, distruggendo tutto ciò che stava intorno. Taccio. Lui tace, annuisce, ci vediamo davvero, io penso. Ho quella paura lì, io? Sì. Di non riuscire, di non poterlo fare. E poi è tardi e bisogna andare. Gli sono grata, mi ha smosso tanta roba e pedalando via sorrido e splendo, sono come felice, anche mentre piango. E penso che gli annullamenti della donnina popputa verso se stessa forse non esistono, è semplicemente una scelta, mettere dei paletti, cercare un distacco. Per sfrondare i rami malati e partorirne di sani, trovare delle radici forti. Per poterle intrecciare, un giorno, ad altre radici. Forse.

sabato 30 maggio 2009

Un tocco di rosso.

Così non va, così non può più andare. E' quasi un mese che non riesco a strappare il tempo per andare al convento, sempre troppo caldo, sempre troppo stanca per pedalare fin là, troppa strada arroventata e appiccicosa. Tutto mi stanca e vieppiù mi consuma lo stare lontana dal mio nido. Non basta l'avere un filmato postumo del conventino vecchio, con l'edera sui muri e l'orto ancora verde e frusciante, i corridoi silenziosi e bui, i dettagli andati del tempo che fu. E' un video meraviglioso e traballante che per anni ho temuto fosse andato perso, cancellato per registrazioni più impellenti. Invece avevo sottovalutato la professionalità della futura giornalista sociologa Gaione. Dal cassetto ha tirato fuori la mia memoria e dopo quasi 7 anni rivedere quel luogo mi ha emozionato e fatto felice. Nessuna tragedia, era il ricordo di un posto magico, quello che io ho dentro e non potrò mai spiegare veramente. Avevo paura che l'immagine svuotasse le parole, ma altre invece ne ha risvegliate. Mi manca la cella e il mio presente e nel dovere quotidiano ogni giorno rimando. Urge la soluzione, ci vuole un pizzico di vitalità, un tocco di rosso per sconfiggere questa inedia e sopportare il caldo e la fatica. E' un diavolino silenzioso, un pomodoro obeso, un cuore elettrico. Sarà qui sotto a giorni e ancora non ci credo. Mbà.

sabato 23 maggio 2009

Sogni.

Non sapevo dove ero arrivata, solo che mi ero allontanata da casa, volutamente, e tanto. Me ne stavo a un tavolo, seduta sul bordo di una strada che pareva la strada principale di un paese o una periferia e guardavo un bus che aveva un'indicazione sconosciuta sul display e mi veniva incontro. Mi sentivo un po' strana lì nel mezzo, mi vedevo nella vetrina di fronte e non sapevo che ci facessi io a quel tavolo e quel tavolo sulla carreggiata. Un uomo, bello, mi veniva a chiedere ogni tanto qualcosa e poi tornava alla sua officina, aveva una tuta scura. E quando iniziava a piovere veniva di corsa e diceva "Bisogna che io prenda la macchina allora, su" e non diceva altro e scappava a prenderla e io pensavo forse torna soltanto dentro alla sua attività, ma lo sapevo che voleva accompagnarmi. Sapevo che mi avrebbe portato e sarebbe stato comodo e risolutivo e semplice, ma mi alzavo e lasciavo il tavolino, mi intabarravo in una mantella e riprendevo le strade sconosciute e anonime. Mi perdevo di nuovo, incontravo altre persone che si erano perse, in qualche vicolo gente che si drogava, gruppetti con grandi ombrelli, alcune strade le cambiavo.

venerdì 6 febbraio 2009

La meravigliosa malattia degli artigiani

Mentre il commerciante traduce tutto ciò che compra e rivende in termini di guadagno, l'artigiano ha un attaccamento particolare a ciò che produce e sovente scazza nell'attribuirgli il prezzo perché tutto il suo lavoro è accompagnato dalla soddisfazione personale, che è metà del guadagno che lui si aspetta. Guardare un grezzo e immaginarselo finito, farlo e vederlo compiuto è l'appagamento. L'aver portato a termine, l'aver avuto cura. Avere il potere di immaginare quello che gli altri ancora non si figurano. Mi è capitato spesso di consigliare sprovvedute signore circa una finitura, suggerendo qualcosa di migliore di quanto loro chiedevano e sentirle intestardirsi nella loro idea per poi, a lavoro finito, vederle insoddisfatte di ciò che loro stesse avevano desiderato. E allora rifare il lavoro a modo mio per poter mandare via un cliente contento. Rompicazzo ma contento. La mitica Zamu bacia spesso quello che le esce dalle mani e gli occhi le brillano mentre fatica sui pezzi imbrattati, le mani sporche, l'iperattività a mille mentre col suo accento veneto sciorina un argomento dopo l'altro, sempre in tensione, sempre sul pezzo. Io non ho tutta la sua grinta, e ora come ora meno che mai, che mi sento sbriciolata, ma mi contagia, e quella pace del chiudere la porta della cella e lasciar fuori il mondo brutto per riposare la mente su un intaglio da argentare mi tirerà fuori da questo brutto periodo, mi ridarà quella mia forza demolita. Sono una donna, certamente insicura, pigra forse, parecchio indietro e così superficiale da sottovalutare gli effetti devastanti della depressione sulla mia fragilità. Forse ho delle chiavi di lettura sbagliate e sbando, forse mi piace solo leggere tutto a rovescio per poter soffrire e scappare, forse mi serve questo per poter reagire. Vado nel dubbio cercando risposte. Le parole sono importanti, ma le azioni forse sono ancora più importanti. La teoria non basta, devo alzare il capino e fare. Avrò più cura di me e rispetterò le mie esigenze e chi avrà davvero voglia di starmi intorno dovrà fare lo stesso. Per alzarmi al mattino voglio rapporti veri, di scambio, di desiderio, dove nulla cade nel vuoto e non torna indietro il silenzio. Ho tutto, dentro di me. E sto veramente male, trovandomi di nuovo di fronte a tutte le mie stupide magagne irrisolte. Eppure io credo che il cambiamento sia possibile, adesso, perché ho avuto una bella faccia grazie a qualcuno di speciale e ritroverò quegli occhi e quel desiderio, regalerò ancora e mi sarà regalato, ci sarà da inventare parecchio, ritrovate le forze.
Per adesso mi curo e trovo di nuovo pace nella mia meravigliosa malattia vitale. Non sarà tutto, però è un bell'inizio.