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venerdì 18 novembre 2011

Ladoramachia.


Per giorni e giorni, la casa. La sveglia, la casa, il pc, lavorare. Ritmi sfasati dalle persiane chiuse, dai giorni lunghi, dalle schermate che brillano e occhi che vanno insieme. Poi è tempo di realizzare, fare, muovere o tutto sembra impantanato. E dunque autobus, stazione, attesa vana alla fermata. Il bus per l'Ikea pare non esista. Allora tranvia fino all'Isolotto. Sì, ok, facilissimo, ma fammi vedere un poco, come funziona questo trenino squinzio? Giusto qualche minuto di osservazione, me ne sto a guardare come si ferma, dove, quando riparte. E' facilissimo, anche una aspie come me ce la può fare. E salgo. Anche solo per fuggire a tutti quelli che intorno mi stanno chiedendo dove va come funziona ma come fa. Mollatemi, non ci son mai salita, me ne sto qui a guardarlo per capire, fatelo pure voi. All'Ikea è bolgia, vernacoli limitrofi si intrecciano intorno alle cassettiere, le fodere per i cuscini e le candele accatastate. Agguanto un materasso arrotolato e scappiamo dalla piana verso i monti. Perché posso godermi un pranzo alla stufa, conoscere il micino Carbone e stare un po'con la Sciamana, che ha disseminato nella casa del Pellegrino barattoli bulacchi bussolotti e tutti i tipi di contenitore riciclato. In ognuno semi, bacche, gazzozzole, foglie, fiori, funghi sminuzzati, tutti separati, puliti, catalogati. Sambuco, olive, vino, olii, ramerino, cipresso, nocciole, alloro. Una dispensa degna di un elfo. Mentre aspettiamo sminuzzo e separo. La Sciamana ha insegnato al Pellegrino a profumare il fuoco, pacati stanno e preparano gli zaini per andare per monti a raccattare faggiole. E intanto masticano, fumano, bevono, assorbono il bosco. Quando mi riportano giù e mi lasciano a Villa Villaculla col mio nuovo materasso e una sacchettata di malli di noci fradici non vedo l'ora di ripigliarmi dall'esperienza psicotropa. Non c'ho più il fisico, o forse non c'ho più il fegato. E la mia testa scoppia, per due giorni. E poi è vacanza. Una vacanza strana, di quelle che non vuoi riempire di cose per non trovarsi come ogni volta che tutto è volato troppo in fretta e allora fare programmi ma con moderazione. Eliminare tutta la parte turistica della faccenda. Organizzare le cibarie, reperire prelibatezze pronte, riesumare ghiaccioli d'impasto di crostini toscani dal freezer. Glissare su alcuni progetti e dare buca anche a qualche impegno. In una giornata produrre carta fiorentina a quattro mani, in un'altra accartocciare PETali colorati. Cucinare al volo golosissime torte salate di carciofi e scoprire uccellini verdi pigolanti e salterini. Balocchi. Coccole. Idee, tante, un pizzico d'ozio. Via, su, però proprio proprio far nulla così.. Basta, andiamo a Pisa, prendiamo un treno, c'è Picasso, c'è Pisa, muoviamoci! Così si va, all'improvviso. E come tutte le cose fatte a caso, ne viene fuori una gran bella giornata. Densa, gustosa, come il prosciutto bazzone che il signore sotto le Logge ci affetta a mano per riempire i panini. Il sole sui lungarni regala colori pieni, caldi e il Palazzo Blu spicca tra gli altri. Due ore di Picasso e poi passeggiata con guida d'eccezione a seguire. Da sotto la torre torniamo indietro veloce per non perdere il treno. Una volta a sedere basta chiudere gli occhi e tornano le immagini come una giostra. A caso. Le repas frugal, una veduta stretta e lunga gioiosa e piena di luce, come un gioco. Jacqueline con una fascia rosa tra i capelli, Susanna con una fascia turchese e un fare timido e buffo, il minotauro guidato da una bambina nella notte, tanti tanti tori, sempre più scarni, donne, modelle, incisioni. Una bandiera con i quattro mori, la torre pendente, una donna spalancata con le calze spaiate, litografie, puntasecca, scarabocchi. Mimi, bellissima, che fa una linguaccia e ride, Mimi con una scarpetta nel cestino della bici, una bella mamma che canta alla sua bambina mentre porta la bicicletta. Due bimbi grandi che fanno le corse sotto i portici, un negozietto di cose di carta con un mobile di sedie leggerissime. Il caprino, il pane dei pellegrini, il dolce fatto a bastone Lo Sfratto dei Goym, i formaggi piemontesi, affamati ci sediamo a cena in una rosticceria thailandese. Mi addormento tranquilla e felice, pare che sebbene io tenga un blog io appaia una persona normale. 

mercoledì 29 dicembre 2010

Fuoriporta.

Scampagnata IV, Joan Mirò

A Pisa, all'improvviso, a vedere una bella mostra in un palazzo blu affacciato su un Arno color zuppadifarro. Dipinti, sculture, arazzi. La magia del viaggio tra costellazioni, arcipelaghi, ideogrammi, donne mitologiche e sculture giocose. Penso che gli unici spettatori degni di essere ascoltati ad una mostra di Mirò siano i bambini. Perché ne colgono la poesia e la gioia senza cercare significati intrinsechi come la signora che si incaponiva di vedere un tucano in un quadro solo perché il titolo era Donna e uccello. Però a dire il vero anche la tipa che di fronte alla serie della Scampagnata ha commentato leggiadra "Sìsì, guarda questi, si vede, guarda i colori, può proprio essere una scampagnata, badalì, c'é pure uno che rigozza" non è stata affatto male.

mercoledì 9 giugno 2010

Luce.


“Tutto ciò che ho sempre voluto fare è dipingere il sole sulla parete di una casa”.
Edward Hopper

Leggo in rete. Secondo Sgarbi non c'é posto per i santi nei quadri di Hopper e neppure per gli uomini. Non mi pare una cattiva osservazione. E nelle recensioni trovate si ripetono parole come attesa, cinema, sospensione, solitudine... Nei quadri di Hopper pare si esprima sempre una domanda, da quanto leggo in giro. Sembra che tutti li guardino chiedendosi il perché quella scena è così o che cosa succederà dopo. Cosa o chi aspetteranno le donne imbambolate, sole, spesso nude, alle prese con raggi di sole o riflessi di luce verso i quali tendere. Immagini fugaci, prese come da un treno in corsa, finestre dentro le quali spiare per cogliere attimi di mondi altrui. Sì, tutto vero, ci trovo tutto. Guardo, una sala dopo l'altra e cerco. Hopper, di tutti i pittori conosciuti, non mi è mai piaciuto molto. Perché forse non l'ho mai capito, mi sono detta. E quindi sarebbe il caso di provarci, forse. E ho cercato in quelle tele, nelle incisioni, nei bozzetti. Mi son pure seduta accanto a alcuni personaggi che paiono uscire da una delle canzoni di notte di Guccini o da Autogrill o tutto quell'armamentario lì. Isole, coi gomiti sul bancone e sguardi vacui, che non si toccano. Mi son sentita anche io fuori luogo, ma come sempre, e poi era ovvio, appollaiata lì su uno sgabello ad un bancone senza nemmeno un bicchiere. O forse era che in mezzo ai manichini ci si trova parecchio imbecilli, lì senza poter guardare nessuno. Ecco cos'é. Io nei quadri di Hopper non ci ho visto nessuno. Caricature, maschere, pelli grigiastre, occhi vuoti. Parigi deserta, scorci assolati senza neppure una persona. C'é la luce, è vero. Solo la luce. Quasi un monito religioso, una salvezza? Non so. Ci ho visto le facce deformate di Ensor, ombre di Degas, ma tutto ciò che stava sconvolgendo Parigi e l'arte e la cultura, le rivoluzioni di spazio e tempo che frantumavano i ritratti di Braque e Picasso non toccano Hopper, che di Parigi in fermento si porta a casa soltanto la luce. Ma è luce sulle cose. I volti non ne godono, perché sono celati dalla maschera. La luce di Vermeer mi esalta, resa in piccoli tocchi che fanno uscire la persona in gesti quotidiani, semplici. Chi lo sa quale trina riuscirà a comporre la merlettaia, chi lo sa chi berrà il latte della brocca. Cosa succederà fuori dalla finestra da cui entra la luce che le illumina. Presenze. Trasformazioni possibili. Le quiete e placide inquadrature di Hopper non mi incuriosiscono forse perchè non ci sono umani lì dentro, non succederà niente, una volta lasciata la sala, il fotogramma sarà seguito da altri e la scena andrà ad evolversi come un film rubato ma senza sostanza, perché gli oggetti non si trasformano, al limite invecchiano. Le maschere si consumano. La luce le scolora. Non lo trovo vitale Hopper, per la maggior parte delle opere. Mi sembra roba mortifera. Però ci ho provato. E adesso posso dire che alcune opere di Hopper mi piacciono. E che se uno capita a Roma deve assolutamente prendere il caffé speciale in Piazza Sant'Eustachio. E che un rametto di menta nella spremuta d'arancia è veramente roba porno. Quante cose si imparano se ci si tuffa.

venerdì 21 maggio 2010

Casualmente.

Akiko Chiba
L'arte di Akiko Chiba è al momento in mostra in via degli Artisti presso il Gruppo Donatello. Meravigliose, delicatissime incisioni incontrate per caso in un pomeriggio di bighellonaggio rilassante. Un inizio poetico per una giornata ricca. Profumo di gelsomini, pittura metafisica, deviazioni per cimiteri rinviviti, passeggiate turistiche, cene saporite, promesse e gesti d'altri tempi. Per non tenermi troppo e non virare sempre sul malinconico o sul triste, mi sbilancerò qui dentro con sapori e odori di felicità nascoste.

lunedì 16 marzo 2009

Persone, fantasie.

"Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare un intera via crucis con una semplice stretta di mano o una visita ad un museo e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi e miliardi di parole d'amore" Andrea Pazienza

Questa frase di Pazienza che è in Pompeo mi è sempre rimasta in mente. Mi fa pensare all'indifferenza arrogante di quelli che si fermano, e imprigionati nella loro immobilità non riescono ad accettare negli altri la vittoria del movimento. Per non rassegnarsi alla propria incapacità devono per forza imbrattare chi invece va o ancora peggio annullarlo, per togliergli tutto ciò che da se stessi non riescono a trovare. Incapace di decidermi a scegliere se certe persone sia più giusto scuoterle perché si sveglino o vadano lasciate indietro come inutili zavorre perché devono svegliarsi da sole mi rifugio al convento. Penso alla giornata passata e a quello che ho visto a Palazzo Strozzi. Dalle finestre di fronte mi arrivano le gibigianne del restauratore, che con lo specchio acchiappa il sole per mandarmi i suoi saluti. Geniale, fantasia d'altri tempi. E è come se il cerchietto dei miei pensieri banali si chiudesse. L'indifferenza, il sole, la fantasia, l'immobilità. La mostra "Galileo. Immagini dell'Universo dall'antichità al telescopio" sembrava sul momento avermi solo affamata e frastornata e che una volta uscita mi si fossero solo affastellate in testa tutte quelle nozioni scientifiche, tutte quelle immagini meravigliose di costellazioni e di strumenti precisissimi. Sì, bello, ma cosa ne saprei dire, sarei capace di ricordarmi qualcosa dovessi raccontare a qualcuno? Sono una capra, che mi è rimasto? Con calma, cercando, trovo quel briciolo che potevo trovare. E mi arrendo all'evidenza. Non è il moto della cianfrusaglia celeste ad avermi lasciato scossa e non ricordo nulla delle date, delle teorie, della storia e delle scoperte. Le so, le dimentico ogni volta, alcune cose, sono importanti ma anche no, son lì che le ho sempre lette e messe da parte. Alcune cose poi non le ho proprio capite. Il giramento di stelle non mi ha travolto. Quello ho sempre pensato fosse semplicemente lì. Sarò cretina, ma non mi ha rapito l'universo. C'é. Mi incuriosisce e mi piace osservarlo. Mi hanno rapito e affascinato altre cose. Tutte quelle sfere armillari, quegli astrolabi, il primo cronografo (enorme, non proprio da polso) mi strabiliano due volte. Per il fatto che qualcuno li abbia cercati nella propria mente per risolvere un qualcosa e poi perché qualcuno ha dovuto mettersi lì con un foglio e poi passare il disegno dei pezzi su una lastra di metallo e cominciare un lavoro. E combattere tutte quelle imperfezioni che il lavoro ti regala. Limare, incidere, smussare, bulinare e provare i meccanismi. Tutto per vedere le stelle, ok, ma il bello non è mica tutto in quelle. E' in chi le ha volute guardare ha cercato il modo e in chi ha realizzato gli strumenti. Che le stelle sempre lì sono state, in movimento certo, ma in fin dei conti ferme in questo esserci praticamente scontato. E' chi ha mosso la testa e le ha seguite ad esser stato veramente importante. Galileo si è mosso, non Giove o Saturno. Mi vengono in mente due tipi che mi parlano del Popol Vuh e serpenti piumati e piramidi e i goffi tentativi in diverse lingue per dirgli che secondo me non c'é proprio nulla di cui meravigliarsi, che dall'Osservatorio del Caracol di Chichén Itzà potevano essere trovate di sicuro molte più cose di quante potessero passare in mente a chi disegnava il cielo mosso dagli angeli e cambiava i nomi delle costellazioni per adeguarle alla fede. Passi indietro, immobilismo. Oppure curiosità e fantasia, come negli accessori di Galileo per disegnare le macchie del sole. La mostra è sempre lì, se uno volesse andare a vedere gli affreschi di Pompei, le mappe di Cellarius o il dito di Galileo. Sono cose, semplici oggetti, in fin dei conti uguali alle stelle, alle eruzioni dei vulcani e ai fiori che sbocciano sul terrazzo. Son lì. Importanti, ma mai quanto chi si muove e va a meravigliarsi un poco, a farsi muovere dentro ed esce dall'immobilità.
E questi pensieri da bambina, queste ovvietà son qui, anche se mi parevano un bel pinerolo nel panierino, pronto per esser fritto.

lunedì 23 febbraio 2009

Malatempora.

Belarghes


Alienazione, terracotta 31,5 cm


A parte quello che cantava Antoine, di questi tempi bisogna stare attenti. La crisi ci travolge fin nel privato. Vedo gli altri cambiare, si respirano le preoccupazioni. Per difendersi forse bisogna opporre a questa cappa le proprie piccole realizzazioni. Non sarà roba mia, ma io c'ero, nella gestazione.



domenica 22 febbraio 2009

Roba da diventar grulli.

Quello che ho visto e incamerato a Siena continua a girarmi in testa, ma ancor più nella pancia. Ho cercato in rete molti dei nomi che mi sono appuntata e via via che elaboro scremo e ripenso a quello che mi ha impregnato. La discrepanza ovvia mi salta addosso nell'accostamento di percorsi artistici diversi e non avvicinabili. Hanno fatto un gran pastone, ecco cosa mi resta della mostra. Chi era matto, chi era diverso, chi era pittore prima, chi dopo il manicomio, chi aveva visioni mortifere per la guerra, chi invece per i fatti suoi, chi era surrealista, chi invece schizofrenico. Tutti insieme, tutti uguali? Mbà, direbbe un mio amico. Non sono molto convinta dall'operazione generalizzante e ancor meno dai nomi letti in giro e sentiti ripetere dalle guide che facevano su e giù coi greggi. Però alcune cose mi restano e mi risuonano, sapori familiari. Nella minuscola sezione legata ai "matti toscani" ci sono le opere di Manzi, di Viani, di Borgini. Ma soprattutto, e mi ci son commossa alle lacrime, c'é un bozzetto di Venturino Venturi. Che io conosco poco, ma che avrei voglia di scoprire attraverso il museo di Loro Ciuffenna. L'ho detto per anni passando di lì per arrivare in Pratomagno, ma mai si é anteposto Venturino alla Bottigliana e quel museo ancora aspetta. Venturi mi è nel cuore perché per un periodo fu vicino al gruppo fiorentino di Rosai e aveva il suo "studio" esattamente al Conventino. Studio. Parole grosse. Non gli era toccata una stanza, lavorava nel chiostro piccolo che adesso non c'é più, sotto alla tettoia delle galline. Proprio quel pezzo di lamiera sotto al quale stavano ormai solo la bici del tornitore, il carrello del vecchio M****** e tutti i calchi in gesso delle sculture del Giannozzi. Ricordi. Tornando ai mattti toscani. Il bozzetto in mostra è un Pinocchio-gnomone ideato per una piazzetta del parco di Collodi se non mi ricordo male e col girar del sole avrebbe proiettato l'ombra delle sue lunghe braccia sui mosaici che avrebbero contornato la piazza. Un progetto visionario rimasto solo un'idea. Forse pensata in quel piccolo chiostro che arrivata la stagione si faceva un tappeto di violette? Forse sì, nella mia percezione delirante voglio pensare forse sì.
Un'altra cosa che mi torna in mente sono i misuratori per i crani, le fette di cervello e una vetrata dipinta con tante sezioni di cervelletti e cervelloni, di lato di fronte e sul di fianco, una scelta invero insolita ed originale. Inquietante e inutile visto lo scarso rendimento "decorativo". Se non fosse che mi ha fatto pensare di nuovo a un film meraviglioso visto tempo fa. "L'enigma di Kaspar Hauser". La capacità di Herzog di trasmettere immagini è ineguagliabile. La purezza di Kaspar, vissuto per anni in una solitaria prigionìa e scaricato poi ormai adulto sulla piazza di un paese con un foglio di presentazione in mano, è totale. La libertà di pensiero ed espressione dell'uomo a cui non son state inculcate strutture mentali di alcun tipo è inaccettabile e genera addirittura un odio totale e distruttivo, benché Kaspar non abbia alcun moto di violenza verso il mondo, semmai curiosità e grande voglia di conoscere e migliorarsi. Kaspar viene ucciso e una volta morto lo si uccide una seconda volta, negando la sua realtà umana, la sua identità, attribuendo la sua natura NON al suo essere unico, quanto al fatto che il suo cervello abbia dimensioni diverse dalla norma. Riduttivo ma rassicurante, di fronte a chi riesce a non farsi incasellare e pensa e sente e vive con tutti gli strumenti che possiede.

sabato 21 febbraio 2009

Arte, genio, follia.



Non se ne esce leggeri, da una mostra simile. Anche se ti intabarri in un guscio che ti permetta di non ascoltare Sgarbi, di non leggere troppo le didascalie, di non farti tirare troppo dentro al compiacimento di certe cose "troppe". Ci vai decisa a goderti solo le opere, quelle che andarsele a vedere in giro per adesso non si può, allora vanno prese al volo. E ti bevi Bosch, ti godi Munch, sbavi sulle incisioni di Goya e su Klinger e Kubin e Kirchner e sono talmente tanti e a raffica che ti pare di svenire e invece poi ti accorgi che non è la vertigine dell'enormità delle carceri del Piranesi, non è il gioco dell'anamorfosi che spiazza, è altro quello che penetra. Perchè ci sono in giro gli strumenti di contenzione, la macchinetta dell'elettroshock, ci sono i crani e le foto dei volti inquieti e poi i disegni, i ritratti, scampoli del manicomio e della realtà disumana, tutto mischiato al colore, alle urla dell'anima, a una sofferenza senza scampo. Che per quanti ricciarelli uno riesca a ingurgitare, dopo, ti resta dentro e ti ripropone quella meticolosa ripetizione dell'orrore, maniacali elenchi, horror vacui, indicibili demoni.


Ernesto Lamagna, Vecchio acrobata pazzo



mercoledì 28 gennaio 2009

Blindness

Marzia Migliora
Test Optometrico (Milo De Angelis, José Saramago), 2007
Installazione, 3 light box, 100 x 50 x 12 cm ognuna

Frequenze

A Palazzo Strozzi c'é una mostra di artisti emergenti. Giovanissimi che al contrario di me perseguono qualcosa, l'ideale dell'arte immagino, e creano. La mostra è abbastanza piccola e varia. Ci sono video, quadri, sculture, installazioni, foto, sculture. La prima cosa che mi ha stonato.. anzi, diciamo la seconda, la prima è stata l'inclinazione dello schermo su cui proiettano il video del primo vincitore appena entri, che é tale per cui la luce dell'entrata annebbia tutta l'immagine E' una pignoleria tecnica, ma un minimo di cura, perdio! Allora. Diciamo che la seconda cosa che mi stonava è che alcune opere, se non leggi il cartellino a fianco con la spiegazione dell'idea espressa dall'artista non le capisci. Ovvero. L'opera nasce da quell'idea e dovrebbe farti pensare a. Ma siccome io evidentemente ho l'immaginazione meno fervida di un lombrico sbronzo non arrivo a a pensare ai massimi sistemi guardando un blocco di dentifricio grosso come uno scoglio di Calafuria. Tuttalpiù mi viene da chiedermi come gli sia potuto venire in mente, se tutto quel robo sia mentadent o antica erboristeria, se lo abbia comprato durante un 3x2, quanti tubetti gli saranno serviti, se ne ha riempito il carrello un pomeriggio di ispirazione o abbia dilazionato l'acquisto giorno per giorno senza dare nell'occhio. Poi invece scorri le varie cose e ti accorgi che qualcosa arriva. Forse è una naturale predisposizione temporanea a cogliere determinate sfumature dato il particolare momento storico che stai vivendo o forse l'artista ha fatto una cosa che arriva veramente, senza che ci sia bisogno di tante didascalie. Ha creato un'immagine che risuona. Sicuramente un mix delle due cose, se a tre su tre è piaciuta alla fine la stessa opera. A freddo ripensando a cosa ho visto lì dentro credo di trovare cosa mi abbia dato e cosa no. Mi sono rimaste cinque impressioni forti. Sei se vogliamo aggiungerci anche la performance punk urlante proiettata sul legno bruciato a cui si accedeva tramite un pesante tendaggio nero e che immetteva direttamente nelle toilette previo un più leggero tendaggio bianco (ma questa cosa credo sia stata divertente solo per me). E sette se devo annoverare pure l'impressione lasciata dal proiettore rovesciato che sparava l'immagine direttamente sulla retina ma se quello ha lasciato qualcosa spero non sia un danno permanente.

http://www.francescagrilli.com/works_06.html
il video che più ci ha colpito.