lunedì 27 agosto 2012

Ciccia.


Ho cercato il corpo, l'ho portato in giro, l'ho coperto, scoperto, come non fosse il solito. L'ho ascoltato. L'ho sentito rattrappirsi, aggrapparsi, strusciare sulle rocce intriso di panico. L'ho sentito dolere dello sforzo i giorni seguenti. Ho camminato con le gambe dure. Ho abbracciato, baciato, ho tenuto in collo una bionda che mi raccontava i suoi disegni ed è bellissimo il suo peso lieve, e vivo. Ho cercato contatto, allungato la mano verso animali che di solito avrei solo guardato. Assaggiato il latte di capra temendo il peggio, invece ho apprezzato e non sono stata tradita. Ho mangiato, bevuto. Il corpo, riprendermi il corpo. Le mani che cercano altre mani, gli occhi che vogliono gli occhi, ma il corpo muto si chiude, si immobilizza, all'erta, come in attesa di non sa cosa. Un blocco, un freno, un muro. Un non trovare, un non lasciarsi andare, in testa una domanda: Perché questa fatica? Perché è fatica e con fatica che cerco di non cercare. E poi il corpo si ammala. I rapporti fanno sbocciare, i rapporti fanno appassire. Trovarsi con un filo spezzato in mano, stanchi, senza vitalità. Chiedersi cosa sia quel moncone. Se sia ciò che rimane di un desiderio dopo che gli occhi lo hanno sezionato chirurgicamente, se sia quel che rimane dopo che le sorelle di Psiche, invidiose, lo hanno sbertucciato. Di quale crisi si tratta, stavolta? Chi non ha fantasia e non sa fare il nuovo fa di tutto perché anche gli altri non ci riescano. E per il ladro son tutti ladri, no? Guardo il soffitto e mi faccio domande, le solite, a cui ancora cerco risposte, in mano un mozzicone, inutile. Penso a quel video di Luca Matti, penso che in due il filo si distende, non si impiglia, non si annoda. E se le parole si ingarbugliano, svaniscono, si nascondono, il corpo no, non dice bugie. E se il corpo si tira indietro, allora bisogna accettare che nessuna parola vale, per andare avanti? Non c'è risposta, se dall'altra parte nessuno tiene il filo.

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