Il desiderio di un cambiamento, l'indignazione, il sistema. Leggo un po' in giro: amarezza, rabbia, scoramento. Qualcuno ha perso il filo, qualcuno fa la rivoluzione che puó e non se ne accorge, qualcuno si lava la coscienza e amen, che ci pensino gli altri. Circolano notizie, video, link che striscianti inoculano il veleno della normalità, del così funziona, imparate. In anestesia generale i modelli vengono diffusi e accettati come fotografia dei tempi, qualche commento poi si passa al prossimo Condividi, Mi piace, Vilovvo. Serpeggiano il pensiero debole e ancora di più il pensiero sporco. Si ribaltano i valori, si confonde la morale, evaporata l'etica. Io cerco e mi imbatto in vuoti che spaurano. Qualcuno si arrabatta e si contorce, qualcunaltro si crogiola in party demenziali, perfetto prodotto dei tempi, per dar ragione a un bischero che cantava Non si esce vivi dagli anni ottanta. Le più stranite, le donne. Che non sanno più che pesci prendere, che forse han cercato una realizzazione personale e non gli è bastata, che non hanno modo di esser libere in questa società che non le prende in considerazione, che ancora si ritrovano a cercare un'identità in rapporto con uomini che odiano le donne. Cerco. Tutto quello che abbiamo oggi ha le sue radici in quello che era ieri. Il mio più vecchio ieri son gli anni ottanta, dei settanta ho solo Jeeg, la morte di Rino Gaetano, Heidi. Me li hanno raccontati gli anni ottanta che non ho vissuto direttamente. I miei amici orfani del 68, quelli rimasti senza soluzione, che per rifarsi della perdita si son risolti in una indifferenza feroce, a voler dire Se non ha funzionato il Noi che almeno prevalga l'Io non appena lo ritrovo. Se ripenso ai miei anni ottanta mi sembrano sempre più tutta plastica e apparenza. Gli yuppi. Il Drive In, tutti quei lampadati, le tettone, le spalline imbottite. Iniziava già un ribaltamento dell'immaginario verso la finzione. Secondo me affondano in questo terreno i capelli disegnati sulla testa del premier. Nessuno ci vede la testa di legno di Pinocchio, perchè siamo venuti su con Mediaset. Penso alle donne ragazzine allora. Negli anni ottanta i poster nelle camerette delle amiche: George Michael, Boy George, band varie. La maggior parte di quegli uomini gradivano altri uomini. Che sfiga, ragazze, ci siamo abbeverate ad un'immaginario che ci annulla. O al nichilismo punk. O al depressivo dark. Tutti in uniforme, tutti in divisa, comunque, quale essa fosse. Vuoto. L'apparenza che scardina l'essenza. C'era un gran vuoto, c'era quel tutto grigio e quella nebbia del mors tua vita mea. Io son ganzo perchè ho la cresta, io perchè fo la piattola, io sono un metallaro. Appartenenza. Gregge che dà un'identità. Perchè se uno non ce l'ha un'identità di fronte all'altro non ci puó stare. Allora se ne fa una e con quella risolve il problema di essere in rapporto. Chi è punk sta coi punk, chi non è punk via. Gli altri sono solo specchi, ci si vede dentro se stessi e si rimane uguali. Quando lo specchio non funziona lo si rompe o lo si getta. Che roba che si trova, pensandoci. Erano i semi dei frutti odierni. Oggi tutta quell'indifferenza, quella finzione, quello scollamento dalla realtà ce lo ciucciamo increduli. Una dissociazione sociale e culturale. Ma se il malessere si fa sentire, se qualche cosa non ci torna, se un certo modo di pensare, vivere, agire ci indigna qualcosa ci è rimasto, sotto. Dagli anni ottanta si esce vivissimi, volendo. Basta un rifiuto e buttarli al cesso invece di farne un santino ganzo che fa tanto quarantenne nostalgico. Se la terra è velenosa e i frutti sono marci allora puó essere che alle radici vada cercata altra terra.
mercoledì 21 settembre 2011
Monnezza d'oggi e di ieri.
Il desiderio di un cambiamento, l'indignazione, il sistema. Leggo un po' in giro: amarezza, rabbia, scoramento. Qualcuno ha perso il filo, qualcuno fa la rivoluzione che puó e non se ne accorge, qualcuno si lava la coscienza e amen, che ci pensino gli altri. Circolano notizie, video, link che striscianti inoculano il veleno della normalità, del così funziona, imparate. In anestesia generale i modelli vengono diffusi e accettati come fotografia dei tempi, qualche commento poi si passa al prossimo Condividi, Mi piace, Vilovvo. Serpeggiano il pensiero debole e ancora di più il pensiero sporco. Si ribaltano i valori, si confonde la morale, evaporata l'etica. Io cerco e mi imbatto in vuoti che spaurano. Qualcuno si arrabatta e si contorce, qualcunaltro si crogiola in party demenziali, perfetto prodotto dei tempi, per dar ragione a un bischero che cantava Non si esce vivi dagli anni ottanta. Le più stranite, le donne. Che non sanno più che pesci prendere, che forse han cercato una realizzazione personale e non gli è bastata, che non hanno modo di esser libere in questa società che non le prende in considerazione, che ancora si ritrovano a cercare un'identità in rapporto con uomini che odiano le donne. Cerco. Tutto quello che abbiamo oggi ha le sue radici in quello che era ieri. Il mio più vecchio ieri son gli anni ottanta, dei settanta ho solo Jeeg, la morte di Rino Gaetano, Heidi. Me li hanno raccontati gli anni ottanta che non ho vissuto direttamente. I miei amici orfani del 68, quelli rimasti senza soluzione, che per rifarsi della perdita si son risolti in una indifferenza feroce, a voler dire Se non ha funzionato il Noi che almeno prevalga l'Io non appena lo ritrovo. Se ripenso ai miei anni ottanta mi sembrano sempre più tutta plastica e apparenza. Gli yuppi. Il Drive In, tutti quei lampadati, le tettone, le spalline imbottite. Iniziava già un ribaltamento dell'immaginario verso la finzione. Secondo me affondano in questo terreno i capelli disegnati sulla testa del premier. Nessuno ci vede la testa di legno di Pinocchio, perchè siamo venuti su con Mediaset. Penso alle donne ragazzine allora. Negli anni ottanta i poster nelle camerette delle amiche: George Michael, Boy George, band varie. La maggior parte di quegli uomini gradivano altri uomini. Che sfiga, ragazze, ci siamo abbeverate ad un'immaginario che ci annulla. O al nichilismo punk. O al depressivo dark. Tutti in uniforme, tutti in divisa, comunque, quale essa fosse. Vuoto. L'apparenza che scardina l'essenza. C'era un gran vuoto, c'era quel tutto grigio e quella nebbia del mors tua vita mea. Io son ganzo perchè ho la cresta, io perchè fo la piattola, io sono un metallaro. Appartenenza. Gregge che dà un'identità. Perchè se uno non ce l'ha un'identità di fronte all'altro non ci puó stare. Allora se ne fa una e con quella risolve il problema di essere in rapporto. Chi è punk sta coi punk, chi non è punk via. Gli altri sono solo specchi, ci si vede dentro se stessi e si rimane uguali. Quando lo specchio non funziona lo si rompe o lo si getta. Che roba che si trova, pensandoci. Erano i semi dei frutti odierni. Oggi tutta quell'indifferenza, quella finzione, quello scollamento dalla realtà ce lo ciucciamo increduli. Una dissociazione sociale e culturale. Ma se il malessere si fa sentire, se qualche cosa non ci torna, se un certo modo di pensare, vivere, agire ci indigna qualcosa ci è rimasto, sotto. Dagli anni ottanta si esce vivissimi, volendo. Basta un rifiuto e buttarli al cesso invece di farne un santino ganzo che fa tanto quarantenne nostalgico. Se la terra è velenosa e i frutti sono marci allora puó essere che alle radici vada cercata altra terra.
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Io ne sono uscita viva credo. Quindi è possibile. Ti porporrei se vuoi di accompagnarmi con la cariola per portare altra terra.
RispondiEliminaLe tue riflessioni stanno sempre un pezzo avanti!
RispondiEliminaAh ah, se mi è concesso sghignazzare a questo punto, causticamente esilarante, a pensare a quei sex symbol musicali mummificati nei poster ora in vendita a prezzi immotivabili su qualche banchetto al mercato del modernariato... Io non salvo niente degli anni '80, ma neppure mi sento di beatificare un '68 troppo idealizzato, proprio da chi quelle battaglie le ha fatte e poi ha lasciato stare, e ora si limita a buttare lì un "Eh, ai nostri tempi sì che c'era la protesta vera!"
Restiamo coi piedi nel nostro presente, che in fondo è frutto un po' di tutti i passati. E anche noi: oh, c'è po'o daffà (direbbero qui): io son cresciuta a pane e tv, siam figli dei nostri tempi, ma non ne siamo succubi però. Hai ragione: occorre agire e pensare diversamente, cominciare dalla base, ricercare l'essenziale, mandare a fanculo il resto.
Eh, ma secondo voi com'é che state nel mio blogroll? Belledonne!!! ;)
RispondiEliminaOgni epoca ha le sue pecche e i mostri da buttare via :) io credo che esista il rinnovamento, non è bello fossilizzarsi su qualcosa...i tempi cambiano, e ogni periodo deve far nascere nuove rivoluzioni...!Non mi piace chi guarda solo il passato e dice "Ai miei tempi.." oppure "in quei tempi si che..."..cioè...pensiamo ad ora, alle sfide che ci aspettano, prendiamo il buono del passato e quegli esempi che ci spingono ad agire ora nel nostro presente, il resto via. Io sono una persona malinconica...ma quando si tratta di agire..preferisco girare pagina e non fossilizzarmi in un passato ormai marcio :) bisogna ricordarlo per quel che è..un ricordo (bello o brutto), ma pur sempre un ricordo.
RispondiEliminaChe bel post amica mia! Dopo che l'ho letto ho sentito un sapore. Che strano, di solito la scrittura evoca suoni o immagini. Invece quello che hai scritto era così concreto da farsi sapore, come quello di un bacio o della cioccolata.
RispondiEliminaPrendo ad esempio l'appartenenza, ne parli spogliandola dei suoi abiti falsi, così rimane nuda. Vestita somigliava all'identità ma era un inganno, invece la vera identità è quella di essere esseri umani, non punk o vattelapesca cosa.
Ogni periodo storico indossa nuovi abiti, come fossero pensieri. Ma avere pensieri nuovi non significa vestirsi, significa sapersi spogliare.
Un abbraccio di quelli veri!!!