Echi da un regno oscuro, W. Herzog 1990
Sarà che mentre guardavo Michael Goldsmith mi sono ricordata vagamente la sua storia, letta in Incontri alla fine del mondo. Finite le riprese è sparito in Liberia, rapito da un esercito di bambini soldato. Ascoltarlo parlare della prigionia, della condanna a morte, del motivo futile per cui è stato accusato di spionaggio. Una volta riuscito a sfuggire alla prigionia è riuscito ad andare a Venezia per la proiezione del film e dopo tre settimane è morto. E guardare quel che resta della tappezzeria, della cucina e della cella frigo in cui venne trovato mezzo ministro dell'Interno, avanzo di una cena e poi il castello, le stanze e il parco in cui una donna si muove come fuori posto. Sarà che mentre guardi quel bambino sbadigliare in uniforme piazzato sullo sgabello principesco ti sembra ovvio che sta lì annoiato da tutta quella farsa inutile e priva di senso, con quel pazzo megalomane che si incorona da solo. O forse è il fatto che il pescatore parla di spiriti che se ne stanno seduti di spalle sulla riva del lago all'alba e che una volta sott'acqua diventano animali e subito dopo tutti asseriscono di esser certi che Bokassa fosse un cannibale e vedi i piani slittare e sfumare tutto. Dove finisce la leggenda e dove iniziano i fatti? Herzog nel libro dice che di fatti ne ha raccolti parecchi, nel documentario ci sono più immagini che parole ma rende lo stesso perfettamente l'idea. Il processo, l'avvocato, le immagini di repertorio, i sopravvissuti, i familiari. L'immagine iniziale dell'onirico e brulicante tappeto di granchi, poetica e allo stesso tempo drammatica all'apparire del treno, viene come ripresa nel finale, come a volersi di nuovo staccare dalla realtà umana e mostrarne il grottesco. Nello zoo in abbandono restano uno stolido guardiano e uno scimpanzé tabagista. La scimmia che fuma è surreale quanto l'uomo agghindato di corona e scettro che se ne sta sul trono con lo strascico a lato.
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