mercoledì 29 agosto 2012

Separarsi e non lacerarsi.



Amici e amiche mi parlano, mi cercano, mi coccolano, mi rifocillano. Io gestisco la logistica difficile e onerosa, a tratti mi scoraggio, mi perdo, a volte piango. Eppure c'è una roba, dentro, che non permette cupezze che durino, non ammette rabbie, non vuole bugie o annullamenti. Sia cosa sia, non si cancellano certe robe. È stato come un semino. Portato da una musica, portato da un'immagine. In fondo ad un bel film (I giorni della vendemmia, meritava una recensione, non gliel'ho mai dedicata), una scena che è passata e ha lasciato traccia, senza che me ne accorgessi. Ha smosso roba. My beautiful rebel, un ragazzino. E ho sentito che mi batteva il cuore, ho trovato un desiderio. E allora come una giostra sono tornati Neruda, l'anarchia, i partigiani, bandiere rosse, storie di coltelli, briganti, locomotive, compagne, fucili, andare. È stato tutto semplice, è stato come un gioco; ma è stato solo un gioco? Se sì allora era parecchio serio. È stato e tanto basta. È esistito e resta. Ho un'immagine maschile che non mente, ho ricordi che mi dicono a cosa credere, so cosa ho visto, so cosa ho trovato. Quel ragazzino, quel beautiful rebel, se chiudo gli occhi ce l'ho tanto vicino che sento il suo viso vicino al mio. E la socia si scandalizza, che tra adulti ci si telefona, non si lasciano messaggi nel web. Ha ragione, la vita non è virtuale e non sono la mia bacheca facebook. Con dolcezza mii dice Stelìn, essere troppa non è un difetto. E io lo so, e mi commuovo e lascio lo stesso queste parole qua nel web, che non so far arrivare altrimenti, che posso sapere cosa io faccio con gli altri, non è detto io possa conoscere il viceversa e perdo i canali di rapporto, non capisco, sto male inutilmente. Succede; perchè a volte non si riesce a separarsi, si strappa tutto, si scappa, si chiudono porte, ci si lacera, goffi. Quel che c'è dietro a quelle porte serrate non mi riguarda, non andró a bussare, a chiedere, a cercare, a disturbare. Ho un semino, una nascita, ho roba che resta ed è poesia. Quello che resta è il cuore che batte, risate sgarzoline, occhi che brillano, una babilla innamorata e leggera, e felice. Nessun filo viene tranciato, mai. Anche dietro a un centinaio di portoni serrati questa roba qui rimane sempre, poderosa. E io resto integra, mi tengo tutto, a braccia piene vado, non mi lacero. Mi separo. Per ritrovarla.

3 commenti:

  1. E' incredibile non sentirsi per tanto tempo e ritrovarsi lo stesso nelle tue parole come se le avessi scritte io.

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  2. Grazie, a volte mi sento l'aliena. A quanto pare siamo almeno due ;)

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  3. Non sono io quello lucido, capace di leggere le cose dette e capirle, sei molto più brava tu. Ma siccome è la quarta volta che mi rileggo il tuo post sul separarsi e non lacerarsi, vorrà pur dire che mi ha colpito la cosa, no? Tutte le volte che lo rileggo mi viene in mente la parola spazio. Che senza spazio non ci sono i legami, i fili che uniscono. Il pieno ha bisogno del giusto spazio intorno, non troppo lontano e non troppo vicino. Solo allora i fili acquistano valore.
    PS: m'hai fatto pensare al suono di un violino, continuo, e a quello di una chitarra, che si sente di più lo spazio tra una nota e l'altra. E al bianco, lo spazio tra un colore e l'altro. Insomma, sta cosa è partita da una sensazione, non dalla capa.
    Bacione.

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