martedì 28 agosto 2012

Guardare in alto (duramente).


Foto di Claudia Pellegrini

Stanchezza, tristezza. Fatica. La fatica di essere lucida e non farsi mai sconti. La fatica di vedere tutto, leggere tutto, sentir vibrare le antenne e percepire anche il cambiamento di espressione di chi ti sta parlando al telefono. La fatica di essere sempre parecchio avanti, parecchio veloce, parecchio a fondo. Che tutto ti arriva addosso e già lo hai messo a fuoco, compreso e tradotto in parole quando ancora chi hai accanto si sta godendo l'attimo, la testa vuota. Essere troppa, come mi dice la socia. Essere così troppa che non mi reggono. Farci i conti, che tutto questo troppo si mescola alle fragilità, alle paure ma anche alle certezze. Rischiare tutto, sempre. Metterci tutto, sempre. Senza fatica. Ma sempre ad occhi aperti. Che la magia non sta nell'ombra, nell'immaginato, ma nel fare un bello che sia luminoso, e nuovo. Che il non detto genera soltanto fantasmi che si agitano e ingigantiscono nel buio. Esser felice con poco ma esigere tanto in termini di pulizia, di chiarezza, di limpidezza. Stringere in mano fili preziosi che hanno tessuto arazzi, tappeti volanti, stoffe lievissime per abiti eleganti. Guardare un filo sconosciuto che forse è tagliato, sentirsi pesante. Sbagliata. Stanca. Triste. Essere troppa. Essere scomoda.

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