sabato 9 ottobre 2010

Gocce.

Le parole sono importanti e a volte mi rimangono impresse, fortissime. Ho letto giorni fa di una "farmacia di parole", e mi è rimasta questa immagine, questa impressione, perché ho continuato a pensare che le parole possono esser cura e a quante volte scrivendo si cerca di lenire, guarire, curare qualcuno o noi stessi. Ma perché le parole siano efficaci devono essere esatte, precise. Chirurgia di parole. Una volta che hai puntualizzato alcuni concetti tornare indietro, alla nebbia imprecisa, alla vaghezza, è impossibile e le parole vanno usate con cura, non vengono scambiate più. Anche le licenze poetiche rischiano di far confusione e il senso estetico va lasciato indietro. L'apparenza deve coincidere con la sostanza, per forza. Perché ti rendi conto che è quando riesci a trovare in un contesto la parola sbagliata che puoi leggere il pensiero sbagliato. E rifiutarlo, mettere lì un paletto. Alla fine, del commento di Oceano potrei dire che suona perfetto, logico, frutto di quella cultura che vuole la donna amorevole mamma e figlia devota. Effettivamente se si parte dal concepire un bisogno la copula e la riproduzione non esisterà poi differenza tra donna e canidi. O tra donna e vacca. E dunque via, diamo il premio alla mamma d'Italia. L'errore non è nello spostare l'attenzione da riproduzione a copula ma dalla concezione di partenza delle due. Stabilito che il bisogno è altro, è cioé ciò che va soddisfatto per sopravvivere, nell'uomo per quanto riguarda copula e riproduzione bisognerà usare la parola esigenza. L'uomo e la donna si scelgono al di là dei periodi di estro, grazie al cielo. Amare non è bisogno, ma esigenza, il rapporto uomo-donna che ci fa vivi non va di pari passo con la stagione degli amori, ma con tutta altra roba che non scade a fine mese. E se la cultura millenaria vuole ancora oggi la donna-->uomomancantedipene o la donna-->femminafattrice questo non dipende solo dall'esser sottomesse a quella cultura, ma dall'aver a che fare ogni momento con uomini che a tali donne si rapportano, negando loro un'identità nuova. O con donne che si riciclano in una nuova identità di stronze per uguagliarsi a quegli uomini. Quindi il lavoro è ben più faticoso e deve partire dallo scardinare il pensiero buio, vanno smontati meccanismi profondi, non basta ribellarsi alla cultura scegliendo la strada facile delcontrario, dellaliberazione dei costumi. I costumi, i panni, poco importano. E' dentro che va operato il paziente. E più è integro meglio sarà, che rivoluzionare il pensiero è roba che non si può tollerare in presenza di vuoti,mancanze, ostilità e difese. Il rigetto sarebbe automatico. Talvolta si hanno gli strumenti per riconoscere il veleno che sta in quella cultura, altre volte si sente solo una grande insofferenza e si va per tentativi, brancolando al buio, nella speranza di guarire. E di fronte alle parole va sentito da dove nasce il fastidio, la nota stonata va individuata. E tutto questo è stato non appena l'attenzione si è fermata sulla parola bisogno. E così le parole chiamano altre parole. Ma poi lascio andare le parole e cerco nelle immagini cosa c'é che della seconda parte non mi suona. L'immagine di un albero mutilato rende bene l'idea di un'identità mutilata. I rami tranciati lasciano forse cicatrici belle a vedersi sopra alla rugosità dei tronchi, ma la chioma risulterà sfrondata, mancante e squilibrata se quelle cicatrici sono troppe. Che sopra a una cicatrice di nuovo non rinasce niente, va cercata altra superficie disponibile. Ma se a forza di accettate la superficie sana rimane troppo poca quell'albero avrà ben poco di che riformare una chioma, sarà affaticato, storto e soprattutto la chioma vuota. Il vuoto in un'identità è pericoloso. La cicatrice è lì perché manca qualcosa, perché l'armonia è interrotta, a volte deturpata. Forse senza cercar troppe parole sarà che se io chiudo gli occhi e le penso, di cicatrici che fossero belle non ne ricordo una. A parte quella di quel tronco di pino che é Capitan Harlock.

5 commenti:

  1. @Jonvalli: :) che bello che non ti è ancora venuto a noia leggermi!

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  2. non ho capito niente di oltre la metà, mi spiace.

    direi che siamo tutti un po' storti, un po' rotti, un po' cicatrici un po' no. chiome di alberi tutte tonde e piene non ne ho mai viste nemmeno in piero della franscesa. non so nemmeno se mi interessa, l'assenza di danno.
    dove tu vedi la mutilazione, io vedo quello che c'è.
    che forma ha il pieno, l'integro? io nemmeno quello ho mai visto.
    vedo quello che c'è, e quello che c'è è bello

    la definizione di bisogno che uso è lacaniana, diversa dalla tua.

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  3. Oceano non puoi capire perchè è una roba fra noi due
    Olga Olgae

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  4. @oceano: non conosco Lacan,la mia definizione la definirei piuttosto "fagioliana". L'immagine dell'albero continua a tirarmi il filo e il gomitolo corre che è un piacere. Grazie! :)

    @Olgaolgae: ahahahahahahah belladonna, mi manchi abbestia!!!!

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