giovedì 1 aprile 2010

Tutto il giorno a pensare ai rifiuti. Non alla spazzatura. Ai "NO" che mettono i paletti. Al rimbalzo che fai quando qualcuno ti alza un muro. Al rimbalzo che fanno quando pari lo scudo. E allora è un "Qui no, non si entra, qui decido io". Guardo il soffitto, che non ho più riverniciato. I no li chiamo spesso Vaffanculo, perché suona più cattivo, deciso e perentorio, ma i paletti a volte vengono piantati con un mellifluo sorrisino e li si avvertono soltanto a pelle, in un non detto. Un po' la stessa smorfietta che accompagna certe battute similspiritose, buttate lì con noncalanche perché non si han neppure le palle di pugnalare con odio allo scoperto. Giochetti, morsi velenosi, brutte sensazioni che lasciano svuotati, stanchi, ammosciati e se leggermente distratti o ingenui incapaci di individuare la causa di tutto ciò. Eppure non ci sono stati strepiti, non ci si è urlato rabbiosamente Vaffanculo! e tutto sembrava così pacifico, accettabile, civile e magari da comprendere, che poverino, trasuda astio, azzanna, ma che vuoi farci, soffre.... E allora si sta al gioco. Il quieto vivere. Ipocrisia che frena. Tutti al passo del poverino che pesta i piedini, in un tripudio di buonismo, assistenza, carezze sul capo. Tutti fermi, tutti zitti! O il poverino soffrirà! Io non ho avuto il No per tanto tempo. Per così tanto tempo che la mia soglia di reazione, adesso, è sensibilissima. Che senza no è come stare senza pelle, tutto ti invade, se vuole. E dall'esterno invade. Non ti piega neppure, ti entra dentro e allora ti pieghi tu, come se fosse roba tua solo perché viene dall'interno, per compiacerlo. Forse ci vuole un arte del rifiuto, che io non so, per rispondere a quel che ci urta senza scadere in un livello infimo, senza prestarsi al gioco del sadomaso. Forse ci vuole la sorpresa della fantasia, lo spiazzamento della creatività per interrompere quel rincorrersi da macchinine sulla pista Polistyl. Non sono pratica, ilmio rifiuto è nuovo di zecca, forse ha ancora la garanzia valida e se lo richiedo me ne danno uno nuovo più completo, magari con un bugiardino allegato. Per cui ho pensato ai rifiuti tutto il giorno, interrogandomi su come interpretare i paletti, su come piazzarli o accoglierli, dato che sono un segno di forza di un'identità che cerca di definirsi. E ho pensato a quanto però è più facile piazzarli lì a difesa per non avere frustrazioni e stress. Che se mi recinto il giardinetto posso anche sonnecchiare sull'amaca senza dover per forza tenere gli occhi aperti. E paletti e rifiuti e incazzature e stropicciare le piastrelle del bagno, annotare la larghezza delle tende, pensare al davanzale, fareuna lista mentaledella spesa e non potersi permettere niente fin verso il dieci, rimandare e tornare a pensare ai paletti, senza risposte, col filo rosso tra le mani e non saper che fare. Non ho risposte, mi sento mancante. Ci sono trappole da cui, a furia di uscir ferita, ho deciso di stare semplicemente alla larga. E vaffanculo.