sabato 10 ottobre 2009

Noir.


In un meccanismo da manuale mi ritrovo uggiosa, insoddisfatta, bizzosa. Per forza, ieri tanta roba, oggi bisogna smaniare un po' per fare come i bambini che battono i piedi. Hai fatto un passo da gigante, vuoi non avere un po' di crisi davanti a tanto nuovo? E poi c'é ancora in circolo L'Artista, con tutta la sua critica al mondo dell'arte, meravigliosamente ritratto come l'astrazione più totale, tutti rivolti a roba che non si vede mai. Ogni inquadratura ha un taglio curatissimo e una attenta ricerca delle luci, in certe scene ci vedi la solitudine di Hopper, in altre i quadrati di Mondrian, certe sbavature da Mirò, la fredda perfezione grafica e camere fisse. Molto sonoro e poco movimento. Intense soltanto le scene in cui l'artista crea, le mani in primo piano ad accompagnare il segno in un dialogo tutto interiore che non sale in superficie. L'autismo manifesto, il non rapporto che scavalca la comunicazione e si palesa sul foglio. Forse l'autistico è quello che più di tutti si esprime nel film, figurarsi che macello. Tutto il resto è affettazione, vuoto, alienazione, silenzi, incomunicabilità. Il protagonista sta, come un ficus, il mondo intorno si muove e lui con le sue spalle spioventi viene portato. In alto. Parecchio. Eppure resta immobile, impassibile. Un soprammobile. Che dall'Uruguay finisce in un appartamento a Roma, indifferentemente. Senza viaggiare se non col corpo. Anche lui un vegetale come l'autistico ma senza neppure saper disegnare. Per un motivo o l'altro i suoi rapporti spariscono e lui con loro, forse. Perché del resto di fronte a un'assenza di rapporti non si può esser niente. Penso a quello che ho trovato ieri, a quello che mi pare di aver perso ieri. I rapporti non si fermano, le relazioni si trasformano. I sentimenti mutano, restano profondi legami ma cambiano le condizioni esterne e sempre penso a R.D.Laing col suo "Come la neve a me l'amore pare/ quando è venuto se ne deve andare/ Non dir così, che questa è una bugia/ l'amore resta, il tempo vola via" e lo trovo sempre, ogni volta, più vero. Le cose cambiano, ci passa addosso il tempo, certe condizioni portano uno sfinimento e un'impossibilità di andare avanti insieme. Ci si perde, una parte di noi muore. Ma mica sparisce niente. Perché in verità tutto il costruito resta lì intatto. Resta un sentimento, eppure bisogna andare ognuno per la propria strada incontro alla realizzazione personale, per restare vivi. Vivi vitali. Le separazioni richiedono probabilmente sempre il loro tempo e grande sincerità intellettuale ed emotiva, libertà dai lacci delle identificazioni, il coraggio di accorgersi delle proprie debolezze che ci portano spesso ad appoggiarci all'altro come a un complice, una stampella. Niente di peggio che mettere in un altro parte della nostra realizzazione. O legarla all'altro in relazione a un ruolo. Che se l'altro abbandona il teatrino sono cazzi. Penso a quelli della banda dell'"io ti salverò", che si realizzano come i crocerossini del rapporto e che se non va tutto secondo i loro piani potrebbe succedergli che un giorno l'altro (che si è salvato da solo e soprattutto vuol salvarsi da questi meccanismi da scraniati) prende il volo e li lascia lì basiti e esterrefatti senza più scopo o identità. O quei poveri martiri che si flagellano e si torturano perché loro sì che amano. E l'amore è sofferenza, la coppia è il manicomio più totale, perché così hanno visto in casa da sempre e quello è ciò che riescono a rifare. Loro sopportano, povere vittime votate al sacrificio per il loro sacro amore. Che si dolgono e macerano. E ti tengono nel laccio del senso di colpa, che tu, che magari vorresti un bel rapporto solare e scevro da certe rotture di coglioni sovrumane finisce che ti senti pure stronzo, che tu tutti questi sacrifici non li fai, egoistaccio malefico e senza cuore! Una roba tipo Péntiti stronzolo! E giù sadomasochismo come rena e vitalità che scorre via a fiumi giù per lo scarico del cesso. Povero mondo, quante rabbie e quanta acidità a vedere gli altri felici quando ci si ritrova avvizziti nel proprio ruolo marcio, senza capacità di lasciarsi vivere. Imprigionati dal giusto e dallo sbagliato, dalla morale, dagli schemini alla Bridget Jones, dal Cosa dirà la gente, ciechi all'evidenza che sono tutte pippe colossali, che la vita sta altrove, che c'é anche da divertirsi e il rapporto non è una tortura sistematica. Povero Sartre, lui e quella stronzata dell'"inferno sono gli altri". L'inferno non sono gli altri, lo fai te con dei rapporti sballati. Non erano forse in tre a convivere, lui Simone e l'amante di lui? Se non era l'inferno quello, poco ci mancava immagino, ma è un po' come costruirsi una casa sulla battigia, avere l'acqua alta in salotto e concludere che passare la serata a casa comporta i reumatismi. Fai un po' te. Ma a fare rapporti sani si è sempre in tempo, mi dico. Ci vuole dedizione e cura per non distruggere tutto il costruito con certe manate furenti. Bisogna sempre tenere sempre tutto pulito, mentre ci si separa. Guardare le cose come stanno, patire quello che c'é da patire e lavar via nel tempo le incrostazioni date dall'abitudine. Così si trova quello che è diventato il rapporto e si va avanti e si scopre che quella parte che lì per lì pareva morta e ci è costata il lutto stretto, non è morta manco per nulla, è solo lì dove era prima di imprigionarla in quel dover essere per forza ciò che si era deciso. La galera del ruolo stabilito, così rassicurante. Che era così comodo pensare l'altro c'é, funziona sempre tutto allora, fa un po' schifo questo tran tran guardato nei particolari, ma come quadro generale da lontano regge e allora comunque si va avanti. Strisciando sui ginocchi sanguinanti e con due palle così, ma mollare sarebbe il fallimento. E chi lo regge un fallimento se non ha speranza di trovare un nuovo? Senza una capacità di rinascita nessuno uccide una parte di sé, nemmeno fosse la parte più mortifera. O forse meglio: senza una speranza di rinascita. Che la capacità la trovi nel momento in cui lo fai, il nuovo. Ma per buttarti a farlo devi quantomeno avere la speranza che quella capacità ci sia. Il salamino di ieri era buono parecchio, ho trovato un sacco di roba in mezzo all'erba e ai fruzziconi. Sapevo e so di avere la capacità, ne ho le prove lampanti, ho trovato anche la speranza. Che cosa aspetto io a separarmi ancora non l'ho capito. Mi deve mancare un qualche cubetto. E devo capire se mi manca perché devo ancora trovarlo o me lo ha fregato qualcuno.

1 commento:

  1. Ho provato a copincollare i versi della poesia perchè mi piacevano un sacco, ma sto mouse schifoso deve aver di nuovo fuso la pila.

    LeD - antiduracell

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