venerdì 25 settembre 2009

Sopra-sotto.

Fata morgana, W.Herzog

Per rimettermi in pari di tutti gli arretrati in questi giorni mi ci son messa di buzzo buono e sto leggendo molto, guardando film e dormendo poco, visto che dentro mi si aggrovigliano fili e si agitano bestiole che si divertono a venire a galla nottetempo, in incubi e soprassalti e malumori. Bene, mi dico. Molto si muove, molto va a posto. E dopo mesi di impasse su un libro che mi riusciva ostico adesso leggo leggo leggo leggo e sono meravigliata dalla quantità di cose che mi sembrano limpide e fruibili. Di fronte a un settembre zeppo di realizzazioni in potenza ma soprattutto di lavatrici e lenzuoli a nastro mi son trovata abbastanza smarrita e così mi viene spesso voglia di sedermi in disparte coi miei carabattoli a fare i miei balocchini solipsistici con le costruzioni. Ho sentito dire "Sto togliendo i cubetti" e io scuotendo il capo ho sospirato. I cubetti non si tolgono, restano tutti, sempre. Può forse succedere di aver messo un cubetto poco buono, di quelli che irrancidiscono o si sgretolano. Restano pure quelli e la maestrìa sta nell'individuarli e andare a riparare il danno, cercando un cubetto sano per sostituire l'appoggio mancante. Pfui. Insomma sto a giocare da sola e con i miei tempi. Anche solo per vedere se i fili si sgrovigliano e le bestiole si addormentano. Oggi abbioccata sul divano ho finito di vedere Repulsione di Roman Polanski e per quanto meravigliosa la protagonista e magistralmente claustrofobico e allucinato il racconto, non so proprio cosa altro possa avermi lasciato un film del genere. E nel tripudio d'ozio dopo il lavoro ho messo lì "L'ignoto Spazio Profondo". Un po' ho pisolato, lo confesso, la notte bianca mi è stata letale. E forse anche la cantilena della lingua originale e la soave musica di violoncelli e tenori sardi. Ma. Ma. Nonostante la defaillance temporanea ho poi riaperto gli occhi e mi sono goduta il pianeta col cielo ghiacciato sotto il quale gli astronauti trovano un atmosfera di elio liquido in cui immergersi e creature che parlano e sono ormai tristi nella solitudine di un pianeta abbandonato. Con immagini di repertorio della NASA e ribaltando il conosciuto, il regista inventa un mondo e una storia che è poesia, fantascienza, monito ecologista, ricerca. Creare non è facile, mai. Diciamo che partendo da un'idea astratta si può realizzare un po' qualsiasi cosa. Ci si inventa un alieno e un Rambaldi ci realizza un capocciuto E.T.. Ma partendo da immagini di paesaggi o cose che si sa cosa sono, il lavoro si fa più arduo. Gli si deve togliere quella veste saputa e regalargliene una che sia più appetibile, più intrigante, che non lasci un retrogusto di banale confronto. Il sotto si trasforma in un sopra. Un adulto credo che abbia qualche difficoltà in più rispetto a un bambino a dissacrare la conoscenza, l'appreso. Davanti al proprio "sapere" si è portati a farsene scudo, a gestirlo come le mostrine sulla divisa, per cui tutto tende ad essere ingabbiato in schemi, nozioni, etichette. Per il bambino ancora tutto è gestibile attraverso la fantasia, senza timore di un ridicolo. La capacità di trasformare, o di ribaltare, rinominare, fa parte di un'elasticità e un'apertura che denotano qualcosa che resta in movimento, in evoluzione. Niente si immobilizza in una definizione e può sempre diventare altro. Nel momento in cui si rimane imbalsamati, si arresta la possibilità di capovolgere il sottosuolo e scambiarlo con il cielo per creare un'immagine nuova. Si è persa la possibilità del nuovo. Incatenati a una conoscenza che fu, ormai polverosa, che non si rinnova e finisce per diventare dogmatica, si resta preistorici, chiusi e sterili. E questo a volte lo si fa con la cultura così come con tutto ciò che si è vissuto, restando legati a un passato che ci ha dato esperienze e ricordi ma che non sarà più. E anche lo spettatore deve avere la disponibilità a seguire la fantasia e non arroccarsi o tenersi con le unghie al suo sapere che quello che sta vedendo è il sotto di una calotta ghiacciata da qualche parte sulla terra. Lasciarsi un po' portare. E re-imparare il gioco se se l'era scordato, farsi degli occhi nuovi se per caso si accorge di averne di ormai vecchi.
Benché io non riesca mai a parlare di ciò che secondo me riesce a fare Herzog e io finisca sempre per dire le stesse tre cazzate in croce sulla sua fantasia e sul suo saper cogliere la realtà non materiale e la poesia credo di poter dire che ancora non ho mai pensato guardando un suo film: ecco, di nuovo, si è ripetuto.

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