mercoledì 1 agosto 2012

Bug.


"Il y faisait toujours une chaleur de cloporte. Il y fait une chaleur de cloporte. C'est la nuit." 
                                                                                   Jean Paul Sartre  Huis Clos


La meraviglia dell'onisco che si schiude mi ricorda due cose: intanto che sì, fa caldo. E poi una frase di Sartre in Huis Clos in cui dice Faceva un caldo da onischi. Di tutta la piece ricordo quella e schifo la famosissima "L'enfer sont les autres". Jean Paul, gli avrei detto, una sega! Non è vero niente che l'inferno sono gli altri. Gli altri li scegliamo noi e se è vero che gli altri possono essere l'inferno siamo in grado di poter scegliere e fare rapporti. Gli altri non sono l'inferno, lo diventano nel momento in cui ti assenti e ti appallottoli. Di fronte a questa inerzia gli altri possono colpirti, attraversarti, non vederti nemmeno. Assentarsi è come non essere. Vivi, in superficie. A volte il non essere è inconsapevole ed è una gabbia dolorosa, altre è una scelta che serve a non far cambiare le cose. Assenze, ultimamente, ne ho fatte meno. Ho ritrovato la voce laddove l'avevo zittita. Ho chiesto, invece di accettare. Ho detto quello che tacevo aspettando che si risolvesse da solo. Ho parlato, invece di annuire. E mi sono forzata e ho parlato di tutto, anche di cose futili, con tutti, anche a casaccio, perché le probabilità di presenza si moltiplicassero, per poter sentire la fatica e la differenza, per poter meglio riconoscere il valore della parola che arriva in mezzo al coro e ti colpisce. Il suono di una voce, le parole che non ti aspetti, il gioco è fatto, scatta qualcosa che ti risintonizza. E scava scava e cerca la voce ha ripreso una sua forma, così, per caso, è tornata viva e mi viene dal dentro, non ha quell'andamento monocorde e querulo della superficialità cauta, del manierismo. Quella attenta a non urtare, quella che suona sempre nella stessa maniera, mostruosa, in inflessioni falsoallegre che mi ricordano i sorrisini ebefrenici. Con cautela quindi riappaio, torno in rapporto con la realtà, esco da quel trascinarmi giorno dopo giorno. Stai dove sei. Me lo ripeto come un mantra, a momenti, quando mi sembra che le cose si perdano nella nebbia, si facciano vaghe, losche, cupe. Si intrecciano separazioni delicate, sfuma la maternità delle perle trovate, me le tengo tra le mani e penso alla differenza netta tra rapporto e storia e mi chiedo da dove vengano le paure, la difficoltà di saper scindere le due cose. Mi trovo a guardare il verde tra due capannoni grigi e tristi chiedendomi da dove nasca lo scatto rabbioso che vuole trasformare un filo impalpabile e meraviglioso in un orrendo guinzaglio. Forse da questa assenza del corpo che mi fa zoppa e invidiosa di chi sa pellegrinare, cantare, ballare leggero. Non c'é libertà nella dissociazione. Torno spesso su cosa passa e cosa rimane. Mi incarto sui tempi e le attese. E se riappare la voce si sveglia piano piano il corpo, che si attorciglia e si strappa, si rifiuta. Serrato a pallina il corpo sbaglia linguaggio e si ammala. La corazza dell'onisco, protezione tenera e naive si ostina a tenersi dentro tutto. 

2 commenti:

  1. Posso?
    Lieve lieve mi sento esattamente come hai descritto tu certi momenti, solo che io sono ancora in fase onisco chiuso. Molto chiuso, con qualche spiraglio solo per respirare
    Speriamo che passi
    Cordialmente

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    1. Eh, passerà. Troveremo un onisco che ci farà la corte e apriremo uno spiraglino per guardargli gli occhi ;)

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