mercoledì 5 ottobre 2011

Visioni.

L'ora di religione, Marco Bellocchio 2002

Succede che a volte quando arrivi in fondo, mentre scorrono i titoli di coda, ti senti il viso che non risponde proprio, fa per conto suo, perché prende ordini da qualcosaltro. Perché succede che magari gioisci e dunque ridi. Ridi proprio dentro, e fuori si vede. Durante il film no, non ho riso, non ho quasi fiatato, spiazzata a volte, specialmente all'inizio quando ho "aspettato" una spiegazione. Non c'é spiegazione, c'è solo da guardare e prendere. Sì, ma, però, la porta aperta, uno non la lascia, uno non entra, che roba sarebbe? Eh, sì, forse, lo so, anche io ci sto sempre attenta a chiuder bene la porta, sì, ma è perché in certi momenti bisogna essere logici e razionali, prender la lista della spesa, andare dal salumiere e dire voglio due etti di prosciutto invece di mi dia una chilata di aria di primavera che respiravo sull'aia dei miei nonni. Però. Però la vita te la cambiano le svolte irrazionali. E più di tutto il lasciare aperte certe porte alle donne (o agli uomini), farseli entrare in casa, cercare la bellezza anche in un qualcosa di incomprensibile come un inganno innocuo, saperlo leggere per un gioco d'amore senza sporcarlo di tinte fosche solo perché il mondo è quasi tutto nero e cattivo. E così scorrono i titoli di coda e rido dentro, che quell'omo lì, un Castellitto che io fico (figo?) così non l'avevo mai visto, io quello lì l'ho amato. L'ho amato per la coerenza, per il coraggio, per il rifiuto. Perché in quel mondo ottuso, ipocrita, fatto di giochi di potere, di  affari e apparenza inconsistente lui è altro, cerca e non si perita a dire quello che lui sente, sa, ha dentro. Riesce a vedere qualcosa di diverso, sta lì spiazzato per un po' e poi questa debolezza la ammette e non alza un muro, no. Lo butta giù, al punto di innamorarsene. Perché se l'uomo impazzisce per la bruttezza di quel che gli sta intorno, troppa per non rassegnarsi, non resta che smantellarla, un pezzo per volta, questa bruttezza. E così lui non si nasconde, si mescola, ascolta, abbraccia, rifiuta, ghigna. E soprattutto accetta la sfida. Per rivendicare il proprio sorriso che è faticosamente vero, legato ad una identità faticosamente mantenuta attraverso scelte pulite, non è il sorriso indifferente di sua madre, che ha fatto impazzire un figlio con un sorriso di vetro. Un figlio che poi non ha sorriso mai. Per quel sorriso è pronto a tutto, Castellitto. A me, vedere un film bello così mi rimette al mondo. 

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