domenica 30 maggio 2010

Mete.

Succedono cene in nicchie rosse con lampi d'oro, nel tremulo brillare di grandi candele slabbrate, spettatrici silenziose. Ma anche tendaggi e lampadari pretenziosi che stridono con camerieri sfuggiti al processo del lunedì. Si accumulano passaggi di sette, ontocazzate e chiese che stomacano e fanno prurito. Si gradirebbe una scelta, una presa di posizione, ma il desiderarlo non è concesso, ognuno stia come e dove vuole stare, nascon così le conversazioni e gli argomenti si moltiplicano. Mi dolgo a volte del mio stare nel devo e del riaffiorare dell'imperativo categorico. Le tende nuove traspaiono bellezze brasiliane e ammutoliscono gli ospiti, trapelano culetti mulatti in boxer fantasia e fiori seccati dal tempo asciutto. Nel vento i pollini la polvere e tutto ciò che urtica, il mix fa effetto e mi stordisco di compresse, spray e smog cittadino. Lacrimo. Lacrimo financo nei sogni. Mi svegliano dal sonno lieve zanzare fameliche da abbattere con rovesci poderosi. Leggo gli arretrati e mi si mescolano le immagini. Nell'alba ricordo di acchiappare la Fisheye e mi accorgo poi di aver lasciato il casco, spettinata dall'aria fresca del mattino cinguettato. Sì, passerà la Gondrand e farà pulito, ancora, di nuovo. Io sto, dunque, sempre ospite, sempre di passaggio, osservando il mondo che per adesso mi accoglie. Ne ho, da imparare. E anche da spicconare via, che è possibile, cambiare. Per il momento è tutto uno stare in ansia, all'erta, in tirare. E' tutto troppo in movimento per trovar parole, servono gli occhi, servon le antenne, non ho proprio neanche il tempo materiale di sedermi. Mi limito a strappare attimi di pace, mi concedo speranze di felicità possibili e guardo gli altri giocare, ridere, parlare. Prima o poi anche io, questo è dove voglio arrivare.

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