venerdì 16 aprile 2010
Vulcano.
La cenere blocca gli arrivi, cancella le partenze. Tutto si confonde e si fa incerto. Esploro lo sconosciuto mondo del sushi e mi ritrovo parecchio giovane dal vinaino con vecchi amici punk. Da bosco e da riviera oserei dire. Sul terrazzo la menta, il basilico e l'azalea fiorita, provare chiavi sconosciute e cercare contatori perduti. Accorgersi che quello che sembrava una scrostatura dello smalto è un buco netto nella ceramica del lavandino. Forse soltanto le vasche si scrostano. Guardo i lungarni farsi rotondi dal mirino a palletta, sulla ferrovia tirano su serbatoi gialli in erezione. L'eleganza delle bacchette appoggiate sulla placchetta, minimalista, la pioggia sulla visiera del casco. Affollamento di calici e sparluccicare di cristalli. Altrove. Gesti che si ripetono sempre uguali, una routine fatta delle stesse piastrelle, i soliti mobili, gli identici bagni, gesti ripetuti meccanicamente fino a perderne il senso, l'attenzione svanisce e solo il mondo fuori si fa di strade, colori, personaggi. Il glicine inebria e cade copioso sul lungo muro coperto dai cartelloni di mostre e concerti. Mentre aspetto ad un semaforo di ripartire in branco vedo un'amica che va a fare colazione. E' imbronciata, pensierosa, mi chiedo che faccia abbia io mentre passeggio o vado. Fuori dalla finestra rimbomba l'amarcord di una reunion pietosa, faccio disegnini, leggo Saramago, cerco e faccio scorta. Guardo, ascolto, ma mi distraggo molto nel fare e spero di aver assorbito le parole e che i miei atti seguano un'incoscia ortodossia.