sabato 14 novembre 2009

Serrature.

Cella 19, Vecchio Conventino 2002

Una chiave per il cancelletto verde soffocato dalla fitolacca americana, una per il portoncino da chiudere sempre altrimenti entrano i gatti (e non escono più), una per la luce a tempo (ma tanto qualcuno anarchico e micragnoso armeggiava di ferretti e scroccava la luce del lungo corridoio azzurroverde, lampadina da 15 cimiteriale e fioca), una per la vetrata opaca a cui erano appesi i foglietti per lasciare i messaggi al falegname, due per la porta della cella. Poi quella del cancello del parcheggio e una per il portone in legno dietro il quale si celava la colonia felina. Un mazzo pesante, ferraglia ingombrante, lo tengo ancora in una antica scatola bianca, la stessa in cui mi venne donato. Il portachiavi invece, preziosissimo e assemblato nella fucina di un sapiente alchimista, ancora accompagna le chiavi della cella nuova, di casa, di Arthur. Oggi mi pento di non aver staccato anche le vecchie serrature dalle due porte, erano almeno tre con lunghi paletti e colorate e montate secondo il caso, col giro a rovescio insomma e guai a dare una mandata in più o c'era il rischio di restar fuori per sempre, che gli ingranaggi bizzosi si inceppavano testardi. Porte, chiavi, serrature. Tutto atto alla creazione di un'oasi fisica di pace dentro la quale stare, lontani. Ascoltando il rumore delle nocche sul legno, immobili, senza alcuna intenzione di aprire e lasciarsi disturbare. Anche i rapporti, quando disturbano e portano solo brusìo conviene chiuderli e ritirarsi nella propria pace interiore, in quella quiete silenziosa e pulita. Alcune porte si chiudono con una mandata. Anche alcuni rapporti si chiudono con una mandata. Affanculo.

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