lunedì 14 settembre 2009

Visioni.

Riunione di famiglia, Vinterberg 2007

L'ultimo film visto al cinema all'aperto è stato "Riunione di famiglia" e alcune immagini mi si legano ai pensieri. Tutti lo hanno paragonato a un "Festen" in positivo, io non avendolo visto non ho potuto che guardare il film come a se stante e scoprire Vinterberg. Geniale il ricordo del padre investito dal treno rivisitato dal bambino nel momento stesso in cui scopre che il genitore non è morto suicida e alcolista ma è semplicemente scappato con un'altra. Ma soprattutto garbata la semplicità con cui viene affrontata l'irrazionalità dei rapporti e la fragile struttura delle identificazioni. Spietatamente Vinterberg fotografa la morte del desiderio con un'immagine ovvia e perfetta, l'affaccendarsi inutile della bella bionda intorno all'inerte Sebastian, che con la testa e il cuore forse non si è nemmeno accorto di essere già innamorato di un'altra, ma con altro sì. E quel termometro lì, il desiderio, è la chiave del tutto, il motore che porta verso l'altro e tira avanti. Finito quello non resta che separarsi. E quando finisce lo si sente benissimo, è una stonatura che non passa inosservata. Penso alla separazione e cerco. Allora perché non si ha quasi mai il coraggio di dire a se stessi la verità e prendere la porta? Per la ferita che ci crea il senso di abbandono? Per lo sfregio sociale? Per la perdita di un'identità riposta nell'esser coppia? Cerco. Non è solo prendere la porta, separarsi. Il distacco è più intimo e interiore e anche dopo aver preso la porta non è detto che avvenga. A volte pur di non separarsi, di fronte all'assenza evidente dell'altro si resta aggrappati a un ruolo, di vittima o carnefice. La separazione è impossibile di fronte a un vuoto di identità. Lasciare l'altro significherebbe perdere se stessi. Allora si mantiene un ruolo in relazione all'altro e non ci si separa. Eppure l'altro in tutto questo non è veramente importante se non in quanto riempitivo di quel vuoto. Penso, cerco, ricordo e allora cerco di non distrarmi. Mi concentro. La separazione è possibile all'interno di un rapporto vero, è impossibile nello svolgersi di un teatrino dato dall'identificazione. Io ti amo perché mi sei complice perchè siamo alleati, perché mi dai la possibilità di essere in quanto parte di un noi. Non amo te ma ciò che rappresenti e dunque non posso separarmi da questo o anche io non rappresenterò più niente. Mi viene da pensare che la prima cosa necessaria per un rapporto vero sia proprio la separazione. Esserne veramente capaci mi sa che è la base del rapporto.

4 commenti:

  1. Splendide le tue considerazioni!
    Identificarsi da, invece di identificarsi con, è quel principio di separazione che permette di disegnare le linee del volto altrui senza che diventi specchio.

    Il chiacchierone

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  2. "Noi lavoriamo continuamente all'inganno di noi stessi.E ora credete voi,che tanto parlate e decantate l'"obliar se stessi nell'amore",lo "sciogliersi dell'io nell'altra persona",che ciò sarebbe qualcosa di sostanzialmente diverso? Dunque si infrange lo specchio,ci si immagina in un'altra persona che si ammira,e si gode poi la nuova immagine del proprio io,anche se la si chiama col nome dell'altra persona".
    (F.Nietzsche)

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  3. No, mi sa che non sono d'accordo con Federico, ci scriverò su appena ho tempo di raccogliere i neuroni :D

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  4. Ovviamente sempre una considerazione illuminante, incredibile, profonda e spietatamente dura e vera. Che va al fondo. Non so come fai. Saggezza?!

    olgaolgae

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