sabato 19 settembre 2009

Professori.


Uno dei primissimi concerti a cui ho assistito in vita mia è stato alle Cascine, con i miei genitori, Roberto Vecchioni. E poi ricordo i viaggi verso il mare ascoltando Il Grande Sogno, in musicassetta doppia con copertina di Pazienza. E un adesivo sul tavolo bianco dal piano inclinabile della camera dei miei cugini, il Professore con il sigaro e gli occhialoni anni 70. E Luci a San Siro e Samarcanda e Oh-Oh Cavallo Oh-Oh... Vecchioni mi ha seguito e accompagnato praticamente da sempre ma ultimamente l'ho sfumato. Perché sì, Vincent, El Bandolero Stanco, Lettere d'Amore, molte molte cose, ma un particolare fondo mi lascia ultimamente insoddisfatta e allora a volte mi ritrovo come stanca di troppi riferimenti a un credere che non è il mio. Però una cosa oggi pensavo e forse portata da uno strascico del post di oggi su quel coglione di Erland. Il cambiamento. Rapporti che cambiano tutto ciò che era in realtà già cambiato, che nascono dove non stava crescendo più niente, che portano avanti quello che ormai si era fermato. Inaspettati o forse insperati, prima o poi succedono, che come diceva Benni Prima o poi l'amore arriva. E via allora Erland schiacciato dal senso di colpa per una cosa che colpe non ne prevede, si affida al raziocinio. E afferma anche di desiderare di tornare a un prima quasi per lavarsi la coscienza. Però mentre si tromba la prosperosa Karin per far sì (come dice lui) che la passione, vissuta alla luce del sole, perda il suo sapore di piccante trasgressione e svanisca. Povero dissociato. O povero stronzo, forse. Erland a me mi è rimasto parecchio sui coglioni, lo posso dire. Forse perché aspetta che tutto vada per conto suo e non sceglie, fa scegliere. E poi da un'altra parte ecco che esce fuori Euridice. E lì mi viene in mente Vecchioni e la sua versione della storia, che originariamente racconta di Orfeo che va a riprendersi l'amata Euridice fino negli Inferi e ottiene di poterla riavere viva se riuscirà a portarla fuori dagli Inferi senza voltarsi mai a guardarla durante il cammino. Non riuscendo a sentire i suoi passi alle sue spalle Orfeo finisce per voltarsi e Euridice muore per la seconda volta e per sempre. Il Professore ne fa una versione che mi risuona di più. Perché Orfeo decide di voltarsi, sceglie. Si volta e la guarda perchè ha già visto il gelo che si è impadronito di lei, l'ha già vista morta e lei non sarà mai più quella che era o magari lei sì ma lui no. E lui decide di non chiudere gli occhi su questo cambiamento, nemmeno di fronte alla possibilità di poterla avere di nuovo tra le braccia. Euridice è morta, ormai. E una volta è sufficiente.

2 commenti:

  1. Questa è un'altra versione, in cui a scegliere, stavolta è Euridice...

    Euridice (Carol Ann Duffy)

    Ragazze, ero morta e sepolta
    nell’Oltretomba, uno spettro,
    un’ombra di quel che ero stata, fuori dal tempo.
    In quel luogo il linguaggio si fermava,
    un punto nero, un buco nero
    dove le parole erano destinate a finire.
    Altroché se finivano,
    le ultime parole,
    famose o meno.
    Ci stavo bene sottoterra.

    Dunque immaginatemi laggiù,
    inavvicianabile,
    fuori dal mondo,
    poi figuratevi la mia faccia in quel luogo
    di Eterno Riposo,
    nell’unico posto, direste, dove una ragazza sarebbe al sicuro
    da quel tipo d’uomo
    che ti segue dappertutto
    scrivendo poesie,
    gironzolando impaziente
    mentre gliele leggi,
    che ti chiama la sua Musa,
    e una volta ti ha tenuto il muso per un giorno intero
    perché gli hai fatto notare il suo debole per i nomi astratti.
    Provate a immaginarvi la mia faccia
    quando sentii,
    dei del cielo!
    un toc-toc familiare alla porta della Morte.

    Lui.
    Il grosso O.
    Più grande del normale.
    Con la sua lira
    e i suoi versi da intonare, e io ero il premio.

    Un tempo le cose erano diverse.
    Per gli uomini, in fatto di poesia,
    Grosso O era il migliore. Leggendario.
    I risvolti di copertina dei suoi libri sostenevano
    che gli animali,
    dall’armadillo alla zebra,
    s’accalcavano al suo fianco quando cantava,
    i pesci guizzavano fuori dal banco
    al suono della sua voce,
    persino le mute, aride pietre ai suoi piedi
    piangevano minuscole lacrime d’argento.

    Balle. (Non lo saprò io,
    che ho battuto a macchina tutto quanto),
    E se mi venisse restituito il tempo,
    state tranquille che preferirei parlare per me stessa
    piuttosto che essere Cara, Tesoro, Dama Bruna, Dea Bianca, ecc.

    In realtà, ragazze, preferisco essere morta.

    Ma gli dei sono come gli editori,
    maschi, di solito,
    e quello che certamente sapete della mia storia
    è il patto.

    Orfeo avanzava tronfio declamando la sua roba.

    Gli spettri esangui si sciolsero in lacrime.
    Sisifo si sedette sulla pietra per la prima volta in tanti anni.
    A Tantalo fu concesso di farsi un paio di birre.

    La sottoscritta non credeva ai suoi orecchi

    Volente o nolente,
    lo dovevo seguire alla vita precedente–
    Euridice, moglie di Orfeo –
    e restare prigioniera delle sue immagini, metafore, similitudini,
    ottave e sestine, quartine e distici,
    elegie, limerick, villanelle,
    storie, miti ...

    Gli avevano detto che non doveva guardare indietro
    né voltarsi,
    ma camminare deciso verso l’alto,
    con me alle sue calcagna,
    fuori dall’Oltretomba
    in quell’aria lassù che per me era il passato.
    Lo avevano avvertito
    uno sguardo e mi avrebbe perduta
    per l’eternità.

    Così camminammo, camminammo.
    Non parlammo.

    Ragazze, dimenticate quello che avete letto.
    È andata così:
    feci tutto quanto in mio potere
    per farlo voltare.
    Cosa dovevo fare, mi dicevo,
    per fargli capire che tra noi era finita?
    Ero morta. Deceduta.
    Riposavo in pace. Defunta. Buonanima.
    Da lungo tempo scaduta...
    Allungai la mano
    per toccarlo una volta
    sul retro del collo.
    Ti prego, fammi restare.
    Ma la luce era già incupita dal porpora al grigio.

    Quanta fatica quella salita
    dalla morte alla vita
    e ad ogni passo
    cercavo di farlo voltare.
    Pensai di fregargli la poesia
    da sotto il mantello,
    quando infine mi venne l’ispirazione.
    Mi fermai, in fibrillazione.
    Era un metro davanti a me.
    La mia voce tremava quando parlai –
    Orfeo, la tua poesia è un capolavoro.
    Fammela sentire ancora...

    Sorrideva con modestia
    quando si voltò,
    quando si voltò e mi guardò.

    Che altro?
    Notai che non si era fatto la barba.
    Gli feci ciao con la mano e me ne andai.

    Quanto talento hanno i morti.
    I vivi camminano ai bordi di un vasto lago
    vicino al silenzio saggio, sommerso, dei morti.

    (da La Moglie del Mondo)

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  2. Questa poi mi piace ancora di più! Grazie!!
    Ladouridice

    :D

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