domenica 31 maggio 2009

Il viaggio.

La donna che è partita si ferma spesso a guardare l'orizzonte. Conosce e scruta, quando si ferma pensa. Scrive, cullata dalle onde placide. Spesso la notte guarda il cielo e vorrebbe tornare, vorrebbe tornare, vorrebbe ancora. Quelle stelle le parlano di ricordi che ancora non hanno trovato un posto, han perso il nome quelle stelle. Vorrebbe tornare, ma non torna e scrive e pensa e lascia che il tempo scorra, guarda sempre lontano e attende che quell'orizzonte porti altro e nuovo e ancora altro. Va, eppure resta ferma. Ad ogni attracco raccoglie un sasso, scegliendolo con cura e cercandolo a lungo se necessario, rituale intimo e puerile. Li dispone con cura uno vicino all'altro, in attesa di prendere la penna. Quasi ogni sera scrive. Scrive a quell'uomo rimasto al telaio, racconta, ricorda, vorrebbe chiedere ma non ci riesce e non chiede. Vorrebbe dire, ma non riesce, e non dice. Ciononostante scrive. Inizia ogni lettera nella stessa maniera, sempre le solite parole che ancora non sa trovarne altre. Ogni mattina si alza, piega quei fogli vergati con amore e li avvolge con cura intorno ai sassi, ascolta il rumore dell'acqua che li accoglie, guarda le lettere scendere e sparire nella profondità scura del mare silenzioso. Ogni partenza, un ciottolo che lascia sul fondale, senza risposte. Continua, la donna, in una vana illogica ricerca. Che non ha senso, non porta frutti. Naviga, ma senza bussola. Senza le carte, spinta soltanto dalla ricerca di attracchi che diano sassi. Si allontana solamente, senza cercare, senza trovare. Non è viaggio, ancora. Ròsa dalla nostalgia, malinconiosa, triste, scrive. D'un tratto una sera si interrompe. Appoggia la penna, alza gli occhi al cielo nuovo, la luna le sorride, di un filo appena. Lascia quei fogli abbandonati al vento, respira forte e si alza. Si versa un bicchiere di vino fresco, si chiede tempo. Il tempo di una sera nuova. Al mattino seguente si sveglia e ritrova i fogli sparsi. Straccia le pagine, scaglia lontano quelle pietre inutili, ripone la penna. Si chiede tempo per un altro giorno e un altro ancora. E li mette in fila, pazientemente, cercando una risposta che sa di aver dentro di sé. Apre il baule rimasto intatto, accarezza le stoffe. Si sente come se non sapesse vestirsene lontano da lui e per questo non ha aperto più quello scrigno. Ma lui gliel'ha donato. La donna chiude gli occhi, ripensa quel viso. Non ha più altri modi per sentirlo vicino, adesso. Realizza questo pensiero e con sgomento si accorge che non lo ha volito accettare per troppo tempo. Indossa un vestito, attracca e scende dalla barca. Una sera, due giorni, tre giorni. Il tempo passa, son mesi. Una sera si siede a guardare il cielo. Pensa a quell'uomo al telaio e non sa più come pensarlo. Così lontano, intento ad altro. Sente che le manca e pensa che sarà felice di avere sue notizie, magari le leggerà seduto a quel tavolo che era il loro legame. Prende un foglio, impugna la penna. Le parole le vengono nuove e semplici e si accorge che ha molte cose da raccontare, e sono lievi. Al mattino dopo va a comprare un francobollo colorato, imbuca la lettera e poi apre la carta e sceglie la prossima tappa, la pelle accarezzata da un vestito impalpabile.

Nessun commento:

Posta un commento