venerdì 6 aprile 2012

Stanchezze.

Giornate intense, e nuove. Con i ritmi sfasati, senza bisogni, alla ricerca dei desideri. Le tacche del wifi che salgono e scendono mi fanno sentire dentro o fuori, mi aggiornano a singhiozzo mentre in realtà non sono nè dentro nè fuori ma solo in giro, alla prese con strane beghe, organizzazione, logistica e emozioni. Son stati giorni pieni di novità, incontri, nuove conoscenze ma anche di ascolto, di parole cercate con cura. Mentre tutto si muoveva intorno, necessità di un centro, di silenzio e raccoglimento. Invece di disegnare sedie, scrivere sedie, parlare di sedie, guardarsi intorno e misurare i cambiamenti attraverso delle immagini. Le poltroncine rosse di un teatro deserto da passeggiarci in mezzo per ascoltare i suoni o da sprofondarci mentre dal backstage arrivano strepiti. E poi quelle stesse poltroncine, occupate da tanti spettatori, viste dal palco. E prima di tutto questo, oh, prima tante cose ancora. Portarsi una piccola sedia di carta a un concerto e porgerla dalla folla di fan a una persona che tanti anni fa si è seduta con me su un gradino. E ritrovarsi una faccia da scema così raggiante da dover scattare qualche foto da bimbaminkia nel cesso mentre tutti dormono pur di registrare l'evento. E senza essersi ancora ripresi dall'emozione, le prove costumi, ascoltare i monologhi, vedere i balletti. Organza parrucche e piume, ingombranti gonnellone che costringono in piedi o tuttalpiù permettono di cavalcare uno sgabello, che un attimo prima c'è e poi Glup! viene inghiottito sotto alla crinolina. Io con le mele per terra, incastrata all'angolo guardo, ascolto. Musiche che mi rimangono in testa, continuo a canticchiarle nei giorni seguenti. E poi gli sgabelli a trespolo dei tecnici in regia. Le sedie nei camerini, coperte di biancheria e body color carne, che mi fan pensare a sedie nude. Le sedie del bar, nel foyer del Teatro di Rifredi, o dei bar vicini, per appoggiarsi il tempo di un toast o di un caffè. Pochi giorni, di una lunghezza infinita, estenuante, densi, passati come saltando da una seduta all'altra senza che queste regalassero riposo. È stato tutto un fremere, uno stare all'erta. E poi un sedile passeggero, scomodo, strano, che porta indietro nel tempo e mette a fuoco. Ma chiuso il sipario non c'è neanche il tempo di ammorbidirsi sul divano. Mi aspettano appuntamenti a villa villacolle, proposte di lavoro, tentativi di emersione. Il tutto in fretta, pensando meno possibile a quel che mi aspetta a breve e per lungo tempo. Sedili di treno, sedie in un'aula all'università. Ogni sera arrivo a tirare le somme e ho trascurato qualcosa, o qualcuno. Vorrei dormire. Ancor di più, vorrei sognare, e capire.

5 commenti:

  1. Ma questa è stanchezza produttiva, cioè sana stanchezza di chi fa, e vive. E passa. Buone altre sedie.

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  2. c'e' sempre tempo per sognare, adesso e' il tempo di fare...poi ci saranno le somme, e pure le sottrazioni. Stancarsi e' creativo, riposarsi e' soddisfazione.
    A presto

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  3. Ha ragione Suster :)
    Mi piace questa frase:

    "Ancor di più, vorrei sognare, e capire."
    anche io :)*

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