giovedì 26 gennaio 2012

Scorribande.

Se a dicembre il viaggio ha significato scegliere di camminare in solitudine, secondo un percorso, il tempo dilatato nei ritmi lenti del passo e del respiro, dagli occhi distratti dai colori e i dettagli del bosco, gennaio ha regalato l'esatto opposto, un'improvvisa scossa che ha catapultato tutti in un posto dove non abbiamo fatto turismo. Spostarsi (parecchio) per restare "solo" dentro a una dimensione interiore. Centinaia di chilometri macinati in auto, in gruppo, orari da rispettare e paesaggio urbano. Asfalto, parecchio. La voce del navigatore e quel suo stupido "Attenzione!". Presenza tecnologica costante, filmare, navigare, fotografare. Una scorribanda futurista, all'insegna della velocità, dello stupore e della macchina. E allora il venerdì ritrovarsi tutti, chi giù da Vaglia, chi da Cagliari e chi da Nuoro e dopo un caffè stringersi in macchina e andare. Andare lontano, giù giù giù per lo stivale, a sorpresa, da chi non ci aspettava. Che le liberalizzazioni tolgono le domeniche e il sorriso a volte e viene da mandare a fanculo tutti quelli che nel weekend non han di meglio da fare che andare al centro commerciale. E allora inventiamoci una carrambata in piena regola, andiamo al centro commerciale anche noi proprio di sabato, ma nel centro quello giusto, quello lontaaaaaaaaaaaaano e forse per una volta un sorriso, ritorna. Chilometri. Chilometri chilometri chilometri, strada lunga e diritta e tramonto e notte e la strada ancora non finisce. Una sosta per una specie di cena in quell'altrove che è l'autogrill, trionfo di plastica, paccottiglia e zuccheri. Colore, luccicanze, abbondanza. Lo stordimento di tutta quella roba dopo aver fissato per tante ore il guard rail o la mezzeria. Dal grigio-bianco-grigio-bianco sempre piatto, scaffali di buste, caramelle, peluche. A Conversano ci aspettava una camera cumulativa per poche ore di sonno. 


Al risveglio cercare di organizzare check out colazione e doccia senza perdere i pezzi, sbirciare angoli Komatsu  fotografare sedie e poi scendere e sedersi con il desiderio di fare una di quelle meravigliose colazioni totali, di dolci, salati, fragranze, dolcezze, zuccheri, carboidrati, scorte. Rendersi conto che si è del tutto arrovesciati dalla nottata, dalla stanchezza, che c'è da fare in fretta e lasciare lì la pigrizia e il relax. E così attraversare quello strano misto di non luoghi che accostano gli ulivi nel verde con i muretti a secco e scorci industriali. Raggiungere l'inferno. Una bolgia di macchine che si accatastano e scorrono lente, si incastrano, fluiscono. Il centro commerciale di Casamassima è bello grande. 

                                         

Ci infiliamo dentro, e dato che non abbiamo evidentemente la faccia di chi è lì per fare la spesa, veniamo tenuti sotto controllo da tutti, seguiti, fermati. Siamo alieni a quel mondo di consumi, siamo lì per fare altro, per una dimensione umana senza fini di lucro e questo ci identifica come loschi. La bella sorpresa è per noi. Dopo tanto correre scopriamo che siamo in anticipo e così ci sediamo ad aspettare. Una signora anziana ci attacca subito bottone, che lei è di Baricentro e sua figlia la porta a passeggio al centro commerciale. E a Baricentro non si esce più di casa, stanno troppi immigrati, non è più sicura. E allora in mezzo alla folla, ai bimbi che frignano e belano, a chi deve riempirsi il frigo per la settimana, al casino frastornante, questa signora si prende un caffè e quattro chiacchiere. La figlia torna con la tazzina, raccomandazioni, tenete la borsa, attenti ai soldi stanno troppi immigrati e poi ci sparpagliamo per sferrare l'attacco. Ma sempre di luogo di lavoro si tratta e allora via, scappiamo tutti a Matera. Vaghiamo, nell'incanto. In un vicolo mi fermo ad ascoltare un violoncello, c'è qualcuno che impara, si sente il maestro che spiega gli esercizi, si sentono le prove. Ogni volta che rialzi la testa, vedi tutto diverso. Ci vorrebbero giorni e giorni, rilassarsi, passeggiare. In giro non c'è praticamente nessuno, ma aleggia un profumo di cucina casalinga che non si sa bene da dove provenga. 


Ci infiliamo in un localino giusto così, tanto per e finisce che ci scoliamo una bottiglia di rosso, mangiamo benissimo, ci facciamo servire i caffè speciali, ascoltiamo un po' di storia. 


Passeggiamo, cerchiamo le uàttare nelle porte, guardiamo dentro agli anfratti. La luce scende e dobbiamo fare benzina, e tornare. A Rutigliano ci accolgono le transenne, le giostre, le luminarie, i banchi della festa del Fischietto. Un po' di struscio, acquisti artistici nella bottega di Pippo troppo affollata per chiacchierare come vorremmo, musica e balli nella piazza anche una volta saliti a casa. Chiacchiere, discorsi che si incrociano, racconti, esser d'un tratto tutti insieme nello stesso posto, di nuovo, tutto diverso. E poi i pezzi che mancano. Stanchezza, felicità, tutto è stato così veloce e denso, al mattino si fa in tempo a svegliarci che già bisogna partire. E c'è un aereo, non si può far tardi. E allora di nuovo chilometri chilometri chilometri verso casa. Restano video, musica, foto a testimoniare la scorribanda fulminea e fulminata. La sintesi di tutte le emozioni, della sensazione rimasta di tutto questo correre la trovo in una foto. Scattata all'entrata di Matera, in un posto strano e senza senso ma colorato, vistoso. Uno di quei posti che intravedi e subito dici Fermati fermati ho visto una cosa e non sai neanche di cosa si tratti e perché stia lì, chi l'abbia fatta una cosa così, con quale scopo, se ne ha uno. Se si son soltanto fatti prendere la mano e da uno spaventapasseri ne han partoriti decine. Se quel filo spinato serve a tenerli dentro perché non scappino, se serve, insieme ai fantocci, a proteggere l'insalata che se ne sta poco più in là. Deve esser roba buona per richiedere cotanta protezione. O forse ha solo il senso di aver fatto qualcosa insieme, un po' per volta. Un racconto, una stesura razionale di questo viaggio non ha ragione di esistere, c'è solo un'immagine, che rimane lì come qualcosa di indefinito, vago, una razzumaglia incomprensibile, personaggi picareschi in cenci arrangiati, un'immagine bella, buffa, strana, inaspettata a cui non si sa dare un nome. O neanche c'è bisogno. 





5 commenti:

  1. Risposte
    1. questo non era da puntina, era da graffio, una passata velocissima e via :D

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  2. E' stato tutto così veloce.. neanche il tempo di realizzare dove si è stati e come. Ora, a distanza di giorni realizzo cosa abbiamo fatto.
    Questi sono i viaggi che restano e che ci portiamo con noi dovunque siamo diretti.

    <3 ;)

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