Settimana scorsa ho visto una bella mostra fotografica presso lo spazio di Chille della Balanza a San Salvi. Le opere di Renato Bartolozzi, che sono state acquisite dalla Fondazione Pellicanò per la memoria viva di San Salvi, mostrano momenti importanti e inconsueti all'immaginario della vita del manicomio, che essendo stato per lunghi anni un luogo chiuso viene poi sempre accostato alle immagini di denuncia, alle condizioni disumane e all'isolamento, all'emarginazione. Nelle foto di Bartolozzi, che a San Salvi ha lavorato svolgendo varie mansioni, ci sono invece i ritratti, c'é il quotidiano, e gli ambienti che si vedono sono luminosi, ariosi, puliti. E poi, bellissime, ci sono le foto che sarebbero diventate fototessera sui documenti di identità e che sarebbero state allegate alle pratiche necessarie a richiedere le pensioni civili. Nel 1968 l'allora Ministro alla Sanità, Luigi Mariotti, promulgò la legge 431, che portava due grandi cambiamenti nel mondo del manicomio. Apriva le porte a nuove figure professionali come psicologi, assistenti sociali, medici specializzati ma soprattutto rendeva al ricoverato un'identità riconoscendogli dei diritti. La possibilità di trasformare in ricoveri volontari i ricoveri coatti, dove non esistesse opposizione da parte del ricoverato e l'accettazione diretta per il ricovero psichiatrico volontario. Non era più il direttore ad aver piena autorità dei ricoverati, c'erano altre voci tra cui, anche, quella del matto. Che non sempre era matto. E con questi nuovi diritti e la possibilità di una pensione civile qualcuno potè tornare al proprio ambiente, alla propria famiglia. Il muro che aveva separato la città nascosta nella città, cambia, si fa membrana viva, diventa permeabile, inizia a permettere uno scambio tra l'interno e l'esterno. E scorrono le immagine della città che entra a San Salvi, le feste del 75 e del 78, con gli artisti che dipingono i corridoi, gli artisti della Tinaia che espongono, un gran viavai, balli, canti e porchetta. Sorrisi. Incontri. E i manifesti dei programmi della festa e di chi avrebbe aderito e amaramente scopri che all'epoca di fronte a iniziative "umane" c'era compattezza, si univano realtà anche diverse, una cosa che strabilia se si pensa alle infinite correnti e frammentazioni di oggi, che sbriciolano la sinistra. E in tutto questo gioco di apertura/chiusura, memoria e riflessioni, c'erano i progetti per la riqualificazione dell'area sansalvina, con idee per la salvaguardia del territorio, le possibili soluzioni... Volendo, con un euro, si può diventare soci della Fondazione per la memoria viva di San Salvi Carmelo Pellicanò e contribuire con un'idea su cosa vorremmo che diventasse questo enorme spazio ricco di potenzialità, ma soprattutto permettere che altro materiale, altra memoria, possa diventare patrimonio della comunità. Nello stesso giorno della mostra ho messo il naso anche dentro alla Tinaia, che avevo sempre visto solo in filmati e conosciuto indirettamente. E più tardi, al vernissage della mostra, altri personaggi curiosi e interessanti, storie di vite, ricordi, aneddoti, racconti: chi ha lavorato nei padiglioni, chi ha scritto tesi, chi ha dei ricordi di famiglia, chi veniva a veder la processione. Io ascolto, saltello in giro, bracco il signore che sta girando i video della serata. Storia del quartiere, della mia infanzia ma anche di un mondo a parte che conosceva solo chi c'era dentro. Me ne sono tornata a casa con la tessera numero 411, pensieri, un libro e la sensazione che se prima il manicomio era dentro, adesso i pazzi son fuori, dappertutto, in tutti i posti dove non è più possibile incontrarsi, parlare, ascoltare.
Infaticabile tu. Ma quante ne fai?
RispondiEliminaBello bello il modo in cui racconti del manicomio, la tua partecipazione così umana a quelle vite violentate. Posso farlo leggere a mia madre? (lei ha dedicato la sua vita a combattere lo stigma)
Ho fatto pure un blog per San Salvi ;) www.vivasansalviva.org
RispondiEliminaIl link corretto è www.vivasansalviviva.org ;)
RispondiEliminaGrazie Jonvalli. Sono inconsciamente incapace di autopromuovermi, in tutti i campi.
RispondiEliminaa milano fanno una rassegna teatrale con i matti "da vicino nessuno è normale"...io vanto un paio di zii picchiatelli e un'amica psichiatra, mi porto avanti...
RispondiEliminainfatti non mi si era aperto la prima volta...
RispondiEliminaUn tema interessantissimo. Avevo creato un reportage di foto su un ex manicomio di Sassari, ma nessuno ha mai voluto tenerlo in conto perchè ci ero entrata di nascosto con un amico, fingendo di essere una ricercatrice dell'università...(forse era un tantino proibito fare le foto XD). Ora visito il blog che hai creato :)
RispondiEliminaDreamy Melrose, hai una mail e un messaggio facebook ;)
RispondiEliminaper "i matti" ancora non c'è un posto giusto: o son troppo matti o non sono matti abbastanza. Non è facile stare vicino ai "matti".
RispondiEliminaUn luogo come quello che racconti è pieno di memoria. L'augurio è che altre memorie lo abitino, aperte, pacifiche e creative :-)
@ Dreamy Melrose: tante volte anche a me viene voglia di raccogliere i ritratti, le facce dei pazienti. Poi mi rendo conto che sono persone, potrei essere io, e non mi piacerebbe essere vista così, per il mio modo di essere ("pazza") e non per quella che sono... però sei stata coraggiosa! ;-)
RispondiElimina@mela: i ritratti che c'erano alla mostra eran belli proprio perché ritraevano persone, non pazienti psichiatrici. Niente a che vedere con le foto di Carla Cerati (ad esempio), dove si denunciava e dunque si ritraevano i ricoverati come oggetti, perché questo erano dentro al manicomio... oggi quella spersonalizzazione non esiste quasi più (quasi, perché poi vedi cosa succede negli opg e ti ricrolla il mondo)... quindi ritrarre "i matti" solo in quanto tali perde di senso... diventa pura pornografia. e gente che fa cose così ce n'è, che fotografa negli obitori, persone malate, creature deformi... eccoli, i veri malati di mente. Diverso è raccogliere i ritratti di persone come storie, e questo secondo me ha un senso. Penso agli artigiani del conventino dove lavoravo, o ai vecchiucci della casa del popolo. Penso ai frequentatori attuali di San Salvi, alcuni dei quali "liberati" dalla 180. Quanti ritratti parlanti sarebbero venuti fuori!
RispondiEliminaSi, hai ragione. Le persone e le loro storie. L'importante, come al solito, lo sguardo :-)
RispondiEliminaIo non ho ritratto persone...solo luoghi...il manicomio è ormai chiuso (anche se ci sn ancora delle persone qua e la nei pochi spazi aperti). Ma io nn me la sn sentita di far loro delle foto. Ho preferito far parlare i loro spazi :)
RispondiEliminaL'adoratrice: speriamo che "vogliounamelablu" legga questo commento :)