Isteria, sedia in faggio e pelle (modello brevettato)
Mi raccontano una sedia in bilico e in uno scomposto turbinìo mi vengono a galla sedie, sediole e seggiole alla rinfusa. Amo le sedie abbandonate ai cassonetti, a volte sfondate, a volte zoppe, orfane delle sorelle perdute. Le sedie che come dicevan sempre gli artigiani al conventino "sono una gran rottura, solo per tutte le volte che devi rigirartela tra le mani, fai prima a fare un mobile che a fare una sedia". E poi una sedia sola non vale niente, mi dicevano, devono esser quattro, sei, otto. E invece a me piacciono proprio quelle spaiate, diverse, vecchie e svirgolate. E poi mi piacciono quelle girellone, che te le trovi al bordo di certe sperdute strade di campagne, all'aperto, a volte sole a volte in compagnia, le gambe solleticate dall'erba o sul pietrisco a bordo strada e non ci son fermate d'autobus o di corriera lì dintorno ma forse soste di anziani che rientrano da passeggiate solitarie. Ricordo le sedie del bar del campeggio, da piccola, di ferro scuro e pesante e rugginoso e filo di gomma intrecciato, rosso, giallo o verde. Un tuttuno con i tavolini, i videogiochi e le carte sporche dei cornetti accartocciate e l'odore del bar, un misto di caffé, cappuccino e dolciumi. E quelle sedie di cucina anni sessanta, di un rosa antico e pastoso, con le zampe lunghe cromate e la seduta di formica con sopra quattro occhietti di metallo. Che se sguillandoci dentro infilavo le gambe dietro potevo far prendere un infarto a mamma durante la cena, inclinandomi all'inverosimile come se stessi cadendo. Non come quelle infami del campeggio in tubo di metallo che se ti inclinavi per sbaglio e dietro c'era appena una buchetta traditora, una pendenza, sbattevi una craniata seria. E poi ci sono le sedie sui pianerottoli, segno che in certi androni senza ascensori ci si è invecchiati al punto da dover riposar le gambe e il cuore ad ogni rampa. Sedie e poltroncine che tornano alla mente. Una savonarola a casa di uno zio, che non mi sembrava neanche una sedia, ma solo un oggetto che incute timore e reverenza, forse soprattutto perché aveva un nome. All'epoca non sapevo che anche le sedie potessero chiamarsi per nome. Una specie di trono, di legno scuro, coi braccioli, che ancora forse sta in cantina e che mi venne regalata da un'amica francese, chissà perché. Una poltroncina ignuda, praticamente uno scheletro, settecentesca, avvistata ad un cassonetto e raggiunta al volo facendo una repentina e azzardatissima inversione a U con l'ape mentre dall'altra strada si catapultava un furgoncino. E nella notte, tra pittori, sotto i lampioni, spartirsi il bottino, a me lo scheletro a loro le porte e le ciambrane accatastate, perché siete arrivati prima voi. Una sedia raccolta in una serata finita ad ascoltar chiacchiere di marescialli e supernove e galassie, una vecchia seggiola di campagna che una volta dipinta di verde persiana e scarabocchiata con qualche fiorellino storto nella cella serviva a scavalcar la finestra, ad appoggiare cose e a prender posto. Sedie vissute che sono storia. E questo sgabello su cui me ne sto appollaiata, uno sgabello da osteria, solido, piccolo, tornito nel convento e rifinito a cera, con qualche martellata finta e che adesso mostra i segni veri del tempo. E poi sedie eleganti, che sono immagini e raccontano di una ricerca, di donne e di bellezza. O sedie che raccontano un quartiere, vite di donne e di artigiani, partigiani, storia. Nella luce del pomeriggio tardi, le sedie di fronte agli usci in Sanfrediano, le signore con la vestina a cianare e riposarsi, a far la calza o anche solo a guardare e a salutare chi passa. Sedie senza un colore preciso, indefinite, vaghe, scrostate, un po' sganasciate. E poi le tristissime false Thonet, quelle lucide nere con la paglia di vienna di plastica. Una minisediolina blu incontrata per caso vicina a un cartello stradale e ritrovata giorni dopo a casa di un amico anche lui gran raccoglitore. Le poltroncine affratellate dei vecchi cinema e teatri, tutte inanellate in fila e tante, tante sedie di plastica azzoppate e mollate accanto alle campane del vetro, ai cassonetti, sui marciapiedi. E poi quelle di mia mamma, la resina ormai macchiata dai funghi e quindi rabberciate con qualche fiorellino.
Sono importanti, le sedie, hanno anche la loro personalissima Madonna.
Ragazza che bel post! Io ho la personale sedia dei ricordi. A casa la chiamavamo "la sedia dello zio mario". Le è rimasto quel nome addosso anche quando lui se ne era andato da un pezzo. Cose del tipo "dov'è cinzia" "ah è fuori che legge sulla sedia dello zio Mario".
RispondiEliminaUna di quelle sedie dall'anima in ferro e i fili di palstica verdi a formare la sduta.
Una sedia con l'anima doppia. Di ferro e di Mario.
RispondiEliminaAh ah! Gran finale, la Madonna della seggiola! Anche io ai cassonetti ci faccio gran bottino di sedili. Ma la mia più che una fede è una necessità. Non parliamo poi di divani. Una volta un nostro vicino ha mollato all'ingresso di casa nostra due divani (3 e 2 posti) seminuovi per la ditta di ritiro ingombranti. Siccome che dovevamo da tempo sostituire il nostro vecchio, distrutto divano verde, sfondato, marcio,pluripisciato dai gatti e definitivamente devastato dopo l'ultima festa in casa, ci siamo caricati in casa quelli buoni e abbiamo lasciato il nostro, praticamente un fantasma di divano. Vedi? Dio vede e provvede! E se non ci pensa lui ci pensano i vicini!
RispondiEliminaemmm...io avrei fatto, funziona da postfazione: http://stimadidanno.blogspot.com/p/collection.html
RispondiEliminaragazze, cacciatele fuori (nel senso buono) tutte queste sedie piene di storia/e
SuS: apessi quanti santini ho prodotto, con quella madonna! Il divano pluripisciato è bellissimo ahahahahaaaahhaha
RispondiEliminaStimaDD: in quella sedia in bilico avrei voluto inserire un link, che poi nella fretta ho scordato. se lo faccio, diamo il via a un metapost. Lo faccio.
Hai fatto bene a scrivere questo post, mi hai fatto pensare che se c'è chi dice che noi siamo ciò che mangiamo, forse si può anche dire che siamo dove appoggiamo il culo. Sulle sedie resta impressa l'immagine di chi ci si è seduto o di chi ci si potrebbe sedere o di chi non ci si siederà mai.
RispondiEliminaLe sedie sono luoghi, sono pensieri, sono storie, non semplici oggetti.
:-*