sabato 11 dicembre 2010

Lente.

Ricordo del convento

Nebuloso, sfumato, grigio. Un grande cielo di nuvole che incombono, o forse luce che si fa spazio. Fa un po' impressione ricevere messaggi in cui mi si chiede se in futuro avrò un laboratorio lì, visto che il mio nome campeggia sopra una stanza vuota, pronta. Che aberrazione temporale. Proiettato nel futuro, il mio passato. Il mio presente invece è adesso più ordinato, più luminoso, la scaffalatura è finita, c'é una poltrona atta al riposo e al rimuginamento che forse come già fu accoglierà di nuovo dormienti, ospiti, convalescenti. Mancano ancora la serratura, le mensole, il campanello. Arriveranno. E nel frammentre, sullo sgabello, appollaiata, una gran bella donna scesa dalle scene, uscita dallo schermo, una gran bella donna viva e vera, che si racconta, ride, piange, si scortica con leggerezza. Io ascolto e le racconto, sorrido, mi commuovo, sospiro. Mi sento meno viva, un po' osservatrice, un po' in guarigione. Dietro a una lente osservo. In tutto quel ben di dio di penetro e qualche pigro spostamento di barattoli mi sembra di tirar le somme di quelle girandole impazzite che come promesse si son lanciate a settembre.

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