venerdì 20 marzo 2009

Storie che ho saputo scrivere

Un giorno, poiché non c'erano più posti liberi, lei gli si avvicinò timidamente, reggendo il vassoio e chiese "E' libero?"
Lui rimase un attimo meravigliato e annuendo si affrettò a sistemare la propria bottiglia e il proprio bicchiere per farle posto sul tavolo da due.
"Mi scusi, ma questo tavolo è certamente il migliore e non ho resistito." E si accomodò lasciando andare lo sguardo verso il mare. Sì, quel tavolo era il migliore e si poteva pranzare guardando le onde spumeggiare in lontananza. Aveva osato solo perché si conoscevano di vista, lavorando vicini. Non sapevano ugualmente niente l'uno dell'altra e ognuno nei propri pensieri consumarono la pausa pranzo, con cortese indifferenza. Si salutarono con gentilezza dopo tanto silenzio e poco più tardi si incontrarono di nuovo. Quel mare che avevano guardato li aveva forse attirati tanto da far loro raggiungere il molo. Così, con lieve imbarazzo per la coincidenza eran rimasti insieme a respirare il verso dei gabbiani dopo uno scambio di poche battute, in cui lui aveva ammesso di esser lì per la prima volta e lei aveva svelato di andarci quasi ogni giorno per riposarsi un po' prima di ritornare al lavoro. Da quella volta avevano condiviso spesso quel tavolo migliore senza alcuna vergogna e piano piano si era creato un gioco che entrambi giocavano in silenzio, assaporando il segreto della speranza di trovar l'altro già seduto lì vicini o pregustando l'arrivo dell'altro una volta conquistato il tavolo per due davanti al mare. Cose piccole e silenti che si usano a volte per migliorare una giornata, renderla diversa dalle altre. Piccole gioie. Poi pranzavano in silenzio e qualche volta si trovavano di nuovo al molo, ognuno a godersi il sale nel vento sulla pelle.
Condividevano quello e poco altro, brevi cenni di saluto se si incontravano recandosi sul posto di lavoro. Avevano ognuno un proprio laboratorio, probabilmente, nello stesso grande stabile, in due fondi non distanti tra loro che si affacciavano su una corte interna. A volte intravedevano l’altro entrare nella propria porta e richiuderla. Fantasticavano su cosa l’altro facesse nel proprio laboratorio, ma non arrivavano mai a chiederselo direttamente.
In un pomeriggio di pioggia, rientrando dalla pausa sotto un temporale che non aveva reso possibile l’incontro a pranzo e nemmeno al molo, lui l’aveva trovata nella corte, zuppa, e l’aveva vista davanti alla porta cercare e cercare nelle tasche e nella borsa. Le era andato incontro con l’ombrello per soccorrerla e lei aveva sospirato di aver perso le chiavi del laboratorio.
“La prego, entri un momento da me, che ha preso freddo, deve asciugarsi. Poi penserà alle chiavi.”
L’aveva fatta accomodare e le aveva preparato una tazza di tè, che le aveva portato nel piccolo ufficio. Lei aveva guardato in giro incuriosita da tanto vuoto e aveva chiesto tutto quel posto a cosa servisse, che lavoro svolgesse l’uomo. Lui si era seduto e per la prima volta aveva parlato con lei, come continuando un discorso iniziato da tempo.
“Io qui non ero solo, prima. C’era una donna. E qui non era vuoto. Era pieno di stoffe. Leggerissime, colorate, ornate di ricami impalpabili riempivano ogni angolo. E poi ovviamente c’era un telaio. Io e quella donna tessevamo e ricamavamo stoffe pregiate, di valore inestimabile. Eravamo ricchissimi e felici. O forse solo ricchissimi. Perché un brutto giorno quella donna mi lasciò solo. Sparì. E andandosene non volle lasciarmi nulla e fece a pezzi il telaio. E diede fuoco alle stoffe, che impalpabili si incendiarono in un soffio e qui non rimase altro che cenere. Da quel momento non son riuscito più a trovar la forza di prendere un ago.” Gli occhi della donna erano attenti da sopra alla tazza fumante e sembravano guardargli dentro, vedere tutto e lui continuò “Lei è una donna bellissima, i nostri pranzi e quei momenti che passiamo sul molo sono per me una gioia che mi pacifica il cuore. Io forse non dovrei dirle questo, ma avrei desiderio di ricominciare a tessere e quando penso a qualcuno a cui vorrei sfiorare le mani lavorando al telaio penso sempre a lei.”
La donna non cambiò espressione, ma continuò a bere in silenzio il tè caldo che le era stato offerto e alla fine parlò “La sua storia è molto triste. E forse io per lei sono bellissima e lei mi desidera, ma io non so tessere e nemmeno tenere un ago in mano. La ringrazio molto, ma non posso esaudire il suo desiderio. Adesso devo andare a cercare le mie chiavi o oggi pomeriggio non lavorerò.”
L’uomo si sentì a disagio e in imbarazzo e senza riuscire a guardarla le porse l’ombrello “Mi scusi, mi scusi tanto, non avrei dovuto, prenda il mio ombrello, che piove tanto…”
Lei sorrise e lo prese “Grazie. Lei è molto gentile.”
La pioggia durò ancora qualche giorno e i pranzi sul mare diventarono un ricordo e un’attesa. Il tempo passò. L’uomo si era sentito stupido per quel parlare troppo e si vergognava del proprio sogno vano, ma dato che gli mancava la quiete che la vicinanza di quella donna gli regalava, decise di essere invadente e un pomeriggio le bussò alla porta del laboratorio. Lei aprì e come lo vide le si illuminò il volto, ma lui forse nemmeno colse il piacere che lei aveva provato scoprendo l’identità del visitatore, perché la sua attenzione era del tutto rapita da quello che si celava dentro quel posto. Tutto era profumato di vernice e di cera e in terra i riccioli di legno erano appena teneri. La donna si guardò un po’ i piedi mentre lui ammirava la sua opera, poi alzò il viso. Ripose le sgorbie e fermò il tornio che ancora girava “Vorrei ricambiare il suo tè, ma ancor di più vorrei che lei mi facesse un favore.”
L’uomo annuì continuando a guardarsi intorno e la guardò togliersi la vestina da lavoro ed appenderla con un gesto lieve, che immaginò compiersi ogni giorno sempre uguale e leggero. Lei disse: “Voglio un disegno del telaio che le serve, deve ricominciare a tessere e a godere di quel che le esce dalle mani. Me lo lasci domani sotto la porta.”
Il giorno seguente la donna trovò il disegno, lavorò a quel progetto e quando ebbe finito andò a chiamare l’uomo. Insieme montarono il nuovo telaio nella stanza di lui “E adesso cerchi la forza di prendere l’ago, scelga un filato e consumi quella spoletta nuova. Non posso tessere con lei, ma spero che apprezzerà lo stesso il mio dono.”
Il tempo sembrò passare più lentamente. Tornò il caldo e il sole e il caso regalarono loro nuovamente il tavolo per due. Qualcosa era cambiato, il pranzo silenzioso si era animato di non detto e di tutti gli sguardi possibili. Al molo a respirare il mare lui non riuscì più ad andare. Aveva perso la disinvoltura. E forse non nello svelare il suo desiderio quel pomeriggio, ma nel vederlo farsi reale giorno per giorno. Continuarono ugualmente a mangiare vicini ogni volta fosse possibile, ma come fosse un qualcosa successo per caso, ogni volta nascondendo di più l’attesa e la gioia.
Un giorno, mentre lei si godeva il vento sul molo lo vide arrivare. Si avvicinava senza fretta. Come pensando un passo dopo l’altro. Le si mise vicino e stettero così per quasi tutto il tempo che avevano a disposizione. L’uomo taceva per pudore, memore del suo discorso inopportuno e guardava un po’ le sfumature dell’acqua e un po’ l’orizzonte. Lei smise di aspettare e disse.
“A volte pensavo che non sarebbe venuto più, ma per la maggior parte del tempo aspettavo che fosse il momento.”
Lui sospirò “Ho ripreso a tessere. Da solo è una fatica immane.”
Lei sorrise “Sì. Sono felice. E vorrei mostrarle una cosa, se ha tempo.”
L’uomo la seguì e raggiunsero una specie di rimessa. Alzata la saracinesca apparve una barca in costruzione. La donna lo guardò negli occhi.“Io non so tessere, so usare le sgorbie. So fare un telaio, so fare una barca. Tu sai usare il telaio, sai ricamare una stoffa. Io posso farti un telaio, tu puoi farmi una vela. Non è detto che da quel telaio escano stoffe per me, ma tu sarai felice tessendo. Non è detto che io ti porterò con me, ma sarò felice quando uscirò in mare. Questo è quello che possiamo darci. E in quello che ci daremo ci sarà tutto quello che abbiamo vissuto.”

5 commenti:

  1. Appena ho letto l'ultima frase mi è salito un brivido. Giuro.
    Mi è davvero tanto :)

    Hug.

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  2. Ogni incontro è un dono che si fa all'altro. Ogni dono è un incontro. Quando si finisce di donare qualcosa di sè all'altro allora finisce l'incontrarsi.

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  3. * piaciuta
    (avevo dimenticato qualcosa..)

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