venerdì 25 maggio 2012

Fiumi.

(Qui manca un'immagine)

Intanto manca l'immagine che dovrei metter qui sopra, perché non ho voluto fotografarla. Certo, avrei potuto riaccendere il cellulino, scattare, rispengere e ora la piazzerei qua sopra, ma non è necessario. Averla in mente e probabilmente anche più in profondità, mi basta e mi avanza e se riesco, la descriverò io. E forse sarà un po' come quando si raccontano i sogni e si fanno i conti con quella parte di noi che ignora le parole e parla per immagini. Qualche sera fa una bella chiacchierata notturna mi aveva fatto rispolverare le parole desiderio, irrazionale, pensiero. I segnetti neri fluivano dietro a un filo rosso. Al mattino, tra le dita nessun filo, appena una fragile bava e niente più. Perché son giorni così, la notte porta via tutto affogandomi in un'acqua nera e densa e al mattino mi alzo riemergendo a fatica. Non sono tempi facili, per nessuno. Poi una specie di gioco. Ecco qua una serie di cartoline, le metto tutte sparse in bella mostra, prendetene una, lasciate che sia lei a scegliervi. Io guardo le cartoline sparse, cercando. Sono tutte foto molto belle, alcune mostrano la natura, molte sono ritratti intensi. Scarto subito tutte quelle a tema religioso. Via i monaci, i rosari, i templi. Scarto i ritratti in primo piano, via tutte le belle facce. Scarto quelle dove non ci sono persone. Addio al ciuco morto, ai panorami estremi, agli oggetti. Poi la prendo e non so perché io scelga proprio quella, ma è quella. Non è colorata, non c'è un volto definito, non c'è un bel paesaggio, non ci sono animali pucciosi, sorrisi o fiori. Continuo a guardarle tutte, sì, son tutte belle, ma non la cambio. E' quella. Poi parte il giochino terrificante. Parla, dicci cosa hai visto in questa immagine che ti ha preso. E allora ognuno inizia. E alcuni ti sembrano proprio l'immagine che han scelto. Altri sembra che raccontino quello che vogliono che gli altri pensino di loro, e la cosa stona e ti accorgi che sì, le loro parole suonano vuote, ma nell'immagine c'è scritto tutto lo stesso, anche quello che stanno mascherando. Allora guardi la tua e ti prende un magone, un'angoscia, uno scoramento che ti verrebbe da piangere. E pensi adesso quando tocca a me come faccio a esprimere questo? La guardi e la vedi. Che vorresti cambiarla al volo e invece è quella, non ci sono chance. Che sembra quasi un bianco e nero, ma non lo è. Ha solo colori molto contrastati. C'è un uomo di cui non si vede bene il volto che ha una specie di cappello o turbante o copricapo rosso. Un bel rosso cupo. Questo uomo è su un tronco. Il tronco unisce le due sponde di un fiume e l'uomo è appena al principio della traversata. Il fiume è in piena e l'effetto ottenuto dal fotografo lasciando l'obiettivo aperto un pelo di più del dovuto ha reso l'acqua impetuosa e bianca, potente, minacciosa. Sul tronco c'è molto muschio e l'uomo è in equilibrio precario e sta quasi a quattro zampe, schiacciato da un enorme pacco che si sta portando sulla schiena. Forse è uno sherpa, forse è un contadino che vive molto lontano dal villaggio. Quando è il mio turno, non lo so cosa ingarbuglio su quella roba tremenda. Sicuramente qualcosa legato a tutte le volte che ho smoccolato camminando, nel brutto tempo, nella stanchezza, dopo aver finito l'acqua, perso il sentiero, di fronte a un guado o a un punto di vertigine. A quanto è pesante andare ma comunque non ci si ferma. O che una volta dall'altra parte si è forti e svanisce tutto e resta solo una gran bella roba. Sì, spero una roba così. Il bello è che per tutto il tempo ho guardato quella foto ma vedevo altro. Per tutto il tempo ho visto non quell'immagine, ma il muschio. Quello verde brillante e pieno che c'è nel bosco. Con tutti i vividi particolari e i colori accesi. Perché è ovvio e scontato, io sono quel disgraziato su quel tronco, no? E adesso ho davanti agli occhi solo il muschio. Però una cosa, non ho detto. Per quanto alcune cose siano pesanti e facciano bestemmiare e ti costringano a cacciar fuori il meglio e il peggio di te, spesso, sono proprio gli attimi in cui riesci a focalizzare tutta l'attenzione su un particolare infinitesimale e sentirti vivo e presente, nel mondo. E mentre cammini stracco vedi la foglia e il rametto e l'insettino e sei proprio lì sul sentiero come lo sono quella foglia quel rametto e quell'insettino (specie se lo eviti e non lo spiaccichi passando). Io ora mi sento evidentemente spersa e non sono una foglia e non sono una coccinella, direi piuttosto che son quello che a Firenze si dice un "panperso", eppure sto facendo una cosa in cui credo molto, che ho desiderato e che mi fa ricominciare quasi da capo per molti versi. Mi ci son volute delle ore e un buon gelato e molto parlare per ritrovare un equilibrio e spurgare il magone e l'angoscia e trovare le parole. Soprattutto per come dall'altra parte è stato commentato il mio intervento, che ha generato un "Via su, vediamo di arrivarci dall'altra parte!" e allora mi son sentita tremare le gambe, perché non ho mai messo in dubbio che porterò il peso di me stessa sull'altra riva del fiume, ma forse dall'esterno sono apparsa demotivata. Eh già, il panperso! Sia come sia, adesso guardo il muschio, e vado. Mi sono chiesta se per caso a fine tragitto ci faranno scegliere una nuova cartolina per misurare un cambiamento, un cambio di prospettiva, chi lo sa. Io, al di là della percezione che forse ho trasmesso, vorrei trovare questa, tra le possibilità. 



2 commenti:

  1. bello, un post alla vecchia maniera. un post con il vecchio e il nuovo. :*

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  2. Sognando si realizza l'impossibile. Per questo i mediocri definiscono i sogni una mera illusione, perchè non hanno l'arte di saperli realizzare.
    :-*

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