mercoledì 21 marzo 2012

A Collegno.

All'arrivo, l'albergo.


Komatsu. Con una lingua uguale a una rampa di lancio sulla facciata che mi ricorda immediatamente l'intagliatore Steiner ma anche la possibilità dei check out più veloci del mondo.  Ancora stranita dalla giornata nel mercatino, tra gli amici, il tutto nuovo, e poi stanca, che è stata una domenica lunga e parecchio intensa. Eppure al mattino mi sveglio all'alba, come se la vacanza non fosse per riposarmi, ma per godermi tutto il tempo libero possibile. Mi prendo i miei tempi. La colazione, la doccia, qualche messaggio, email, un po' di balocchi. C'è il sole. E io sono in vacanza, volendo. Da sola e lontana. Con una fermata della metro poco distante che in dieci minuti sono in una città mai vista.
Esco.
Sono in mezzo alla zona industriale e con il sole e il tutto possibile è bellissimo anche questo non luogo coi bordi di erba sporca di tutto quello che viene buttato dai finestrini. Non ci sono marciapiedi, solo macchine capannoni e inferriate. Niente terra né vera erba, ciuffi, sudicio, plastiche di colori indefiniti. Poi un muro di mattoni rossi. Veri, non pannelli di finti mattoni da tirar su a rivestire. Un lungo muro e dentro che si affaccia nel cielo uno scheletro enorme, arrugginito. Lungo lo stradone odore di smog e carburante, rumori di lavoro in corso dall'altro lato della strada. Un martello pneumatico, furgoni, macchine, vociare di operai. Poi sotto al maestoso relitto come una specie di silenzio e strilli di cornacchie. Me ne sto lì a naso in su a guardare il cielo diviso in sezioni, davanti ai vetri rotti, alle macchie di ruggine, ai mattoni solenni e a quegli strappi dai quali si intravede un dentro. Erba alta e arbusti e rampicanti che si riprendono lo spazio.









 In quei mattoni, messi lì uno ad uno dalle mani di muratori, c'è già il lavoro di uomini, la maestria, la cura. Dall'altra parte della strada un capannone sghembo rivestito di piastrelle bianche quadrate 25x25. Sudice, nere, brutte. C'è differenza tra l'entrare a lavorare tutti i giorni in un posto di mattoni e in un posto rivestito di bruttezza fintoallegra. E' un fattore di lungimiranza. Fare un posto di mattoni, come una casa, che duri. Il lavoro visto come una cosa sicura, che durerà. Di fronte a questo passato, i capannoni attuali, tristissimi, brutti, nonostante i colori pastello. Inferriate rosa, azzurre, muri gialli. L'unico colore bello, vero, quello della forsythia.





Dal lungo vialone raggiungo quella che non so se è la mia meta. Sono a Collegno, dovrebbe esserci un exmanicomio, in teoria. Una teoria molto vaga, perché non ho tempo neanche di googlare, e neanche voglia. Sono in un'area verde, non serve altro. Esploro, con calma, c'è il sole, è un posto che fa bene. Percorsi, spazi per fare sport, alberi, tanto verde. Pensionati a branco o in coppia, studenti, chi cammina, chi corre, chi passeggia, chi bicicleggia. Panchine, tavoli, fontanelle. Un posto curato, bellissimo. Disseminati, padiglioni. Qualcuno già restaurato e in uso, qualcuno ancora in abbandono. Continuità. Le finestre hanno infissi che richiamano le vecchie inferriate ancora presenti nei padiglioni dismessi. Penso a San Salvi, agli infissi di una stessa facciata che sono stati messi lì tutti scompagnati, senza senso, in metallo, brutti. La bruttezza genera il disagio. Un padiglione è occupato e di fronte ha un bel semenzaio, un orto. Aree attrezzate per i bambini, campi di bocce, giochi. Il wi-fi libero.





Mi rigenero, fotografo, cammino e guardo. Solo i tuoni e il cielo che diventa grigio mi riportano al chiuso.

4 commenti:

  1. benvenuta da queste parti (più o meno)!

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  2. tag: la mia vita raccontata male :)
    che invece a me piace..è unica nel suo genere :)

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  3. Molto, molto esemplificativo di cosa è "esteticakomatsu" e cosa non lo è.

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