Il ciuco di Melesecche
- Povero me, povera la mia famiglia! - gridava singhiozzando Melesecche sul corpo allampanato del suo ciuco che giaceva stecchito attraverso alla stalla. - Che ho fatto io di male in questo mondo, - continuava Melesecche, - per essere perseguitato dalla sventura con tanto accanimento? Eccola lì quella bestia impagabile! Eccola lì la mia speranza, il mio sostegno, il pane per i miei disgraziati figliuoli! Un monte d'ossa e di pelle, senza movimento e senza calore! E Dio solo sa se per avvezzarlo bene avevo adoperato pazienza e fatiche. Trovatelo, se vi riesce, trovatelo un altro ciuco che si pigli di sotto gamba, come se le pigliava lui, some da slombare un manzo. Le bastonate pareva che fossero la sua consolazione; il sole dell'agosto se lo godeva come un rinfresco; i ghiacci dell'inverno lo riscaldavano tutto; la pioggia, la grandine e la neve s'era abituato a succhiarsele come una benedizione del cielo... E ora... in questi ultimi giorni, sul più bello... quando gli avevo anche insegnato... - E qui Melesecche s'interruppe per abbandonarsi a uno scoppio di pianto disperato.
- Che v'era riuscito d'insegnargli in questi ultimi giorni, Melesecche? - gli domandò lo scortichino che era venuto per pigliare la pelle dell'asino.
- Lo avevo avvezzato a non aver più bisogno di mangiare!
- Non mi burlate!
- No, no, non vi dico altro che la santa verità. Cominciai tre mesi addietro, per la festa di Sant'Antonio, a diminuirgli la sua razione e, giú giú, adagio adagio, l'avevo condotto... dove l'avevo condotto. Sissignore, ora che da tre giorni mi campava veramente bene senza più sentire il bisogno del cibo... Sissignore! Quel destino infame che non ha voluto mai darmi un'ora di pace, gli salta addosso e me l'ammazza!
Lo scortichino che aveva già cominciato a cavare la pelle all'asino posò il coltello, alzò la testa, guardò in viso Melesecche, e:
- Il destino, il destino! - esclamò, fingendosi commosso. - Tanti tanti, ne ho conosciuti dei ciuchi, e tutti a cotesta maniera! Appena avvezzati a star senza mangiare, hanno fatto come fareste voi: dopo quattro giorni, alla più lunga, sono morti!
Renato Fucini
eh, il destino e' crudele, a volte....
RispondiElimina(questa fiaba mi ricorda tante cose...)