martedì 22 novembre 2011

Luoghi, ovvietà, sbadigli.


Mi regalano il recupero del mio vecchio blog, svanito da Windows Live senza che me ne accorgessi. Ora ho una Cella 19 (7 metri per tre) in formato .pdf, un file zeppo di parole e ricordi, di camminate, di travagli, di noiosi girotondi emozionali. Scorro, piano, e trovo vecchie storie, vecchi amori, palpiti, panorami, scontenti e gioie. Un sacco di bizze, rabbie, domande e svuotamenti di trippe. Mesi, anni, condensati in post, commenti, immagini. Tiritere, filastrocche, solita fuffa, il guizzo interessante del dimenticato che riaffiora. Come guardare i vecchi album di foto, sospirando per la gioventù passata e le stampe scolorite. Chilometri e chilometri di crinali, distese di verde, giornate di silenzio. Profumi, canzoni, suoni messi lì, un luogo fisico per l'invisibile. Parecchia immobilità, paura e pastoie. I primi cubetti, i primi minuscoli No, grandi confusioni. Il web è così, regala luoghi virtuali dove portare pezzi della nostra vita. Basta aver chiaro che non è la nostra vita. A volte succede di confondersi. Ma poi col tempo, se ripensi e cerchi i ricordi, la scrematura si fa netta. Il virtuale per gran parte si autodistrugge. Negli anni ho girellato per forum, blog, ultimamente social network. Piazzette, trattorie, gruppi. Un nick, un avatar e sei tu e sei anche altro. Ma il monitor non è una finestra sul fuori. Ho passato molte serate online, anche in compagnia di persone bellissime, eppure quando si è trattato di fare grandi cose, di esser rimescolati, tutto è sempre successo lontano dal pc, occhi negli occhi, con il suono delle voci, annusando intorno. Fai il salto e cambia tutto. Lo specchio di Parnassus. Assorbe parecchio, il virtuale, basta guardare quei visi incollati alla luce del monitor che gli parli, chiedi, spieghi e non cambiano espressioni, non ci sono, non rispondono. Soltanto dopo qualcosa, dato che sei stata brusìo, ti guardano e chiedono "Eh?". Tutta questa roba, non resta. Ma tutta questa roba, distoglie. Ti frega il tempo, a volte. Mi rileggo qualche pezzo a caso e ritrovo le girate a Borgo di Morello, le notti sul crinale, il compleanno a dormire insieme all'allocco che mi guardava e il rifugio allagato fino a mezza gamba da dover stare sulla panca come una zattera. E la cella. La cella con gli odori di vecchio che mi son portata via ma anche con i profumi dell'hortus conclusus che cambiavano e raccontavano la stagione. Un tappeto di viole del pensiero, oppure una distesa di susine spiaccicate a macerare e a nutrire i talponi. A volte nel silenzio il TUD! pesante delle pere che venivano giù da un albero malcurato che era cresciuto solo in verticale come un palo. Un pero antico, di circonferenza notevole. E a volte tra le foglie secche frusciava il merlo, a volte un innamorato. Adesso ho un davanzale largo pieno di piante grasse e succulente ma vedo solo un quadrato di cemento. A differenziare la stagione, soltanto lo slippino del vicino brasiliano che appare e scompare.

2 commenti:

  1. Mi trovi sulla stessa frequenza di pensiero.
    magari questa non è una finestra sul mondo, ma solo una sua proiezione, un'ombra cinese, eh? Una caverna platonica?
    Io mi stamperei quel pdf, fossi in te, e me lo rilegherei a mano, come solo tu saresti in grado di fare, e poi lo sfoglierei, come un album di vecchi ricordi.

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  2. Diciamo che è una finestra su un mondo quanto può esserlo un telefono. Gli mancano troppe dimensioni perché i rapporti siano "completi" :D

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