giovedì 30 giugno 2011

Maestri.

sottotitolo "le cose in cui credevo io son le stesse da una vita (cit)"



Un sms mi avverte di una performance imperdibile. Andiamo a perderci nella piana, in quel tristerrimo nonluogo d'aria finta e vita confezionata e vaghiamo per corridoi di merci e luci al neon, famiglie intere sbrilluccicano nell'acquisto. Ci ritroviamo morsi da vita vera, parole brucianti, racconto che sbrana. Continuiamo a pensare nel ritorno a tutti quei grazie che non si trovano, che non si sa proprio a chi rivolgerli, se proprio a qualcuno vanno rivolti. Roba che se cominci a dir grazie ti pare di aver trovato un senso e perdi la strada. Coerenza, perdio. E di fronte a chi abdica nessuna parola, sonori Mah che riecheggiano nell'ignoto, nell'incomprensibile. Portiamo a casa poesia, intimità disprezzate, confidenze eccessive che danno una misura altra e spostano il centro, spiazzano, fanno vacillare. Si torna a casa, cena in terrazza, rimane sotto una presenza e un grazie. Grazie, Maestro.




Dopo i prelevamenti

È risaputo:
tra me
e Dio
ci sono numerosissimi dissensi.
Io andavo mezzo nudo,
andavo scalzo,
e lui invece portava
una tonaca ingemmata.
Alla sua vista
mi riusciva appena
trattenere lo sdegno.
Fremevo.
Ora invece Dio è quello che deve essere.
Dio è diventato molto più alla mano.
Guarda da una cornice di legno.
La tonaca di tela.
Compagno Dio,
mettiamoci una pietra sopra!
Vedete,
perfino l'atteggiamento verso di voi è un po' cambiato.
Vi chiamo "compagno",
mentre prima
"signore".
(Anche voi ora avete un compagno),
Se non altro,
adesso
avete un'aria un po' più da cristiano.
Bene,
venite qualche volta a trovarmi.
Degnatevi di scendere
dalle vostre lontananze stellate.
Da noi l'industria è disorganizzata,
i trasporti anche.
E voi,
dicono,
vi occupavate di miracoli.
Prego,
scendete,
lavorate un po' con noi.
E per non lasciare gli angeli con le mani in mano,
stampate
in mezzo alle stelle,
che si ficchi bene negli occhi e nelle orecchie:
chi non lavora non mangia.

Vladimir Majakovskij

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