mercoledì 22 dicembre 2010
Villa VillaHolle.
Accendo le luci made in china e per poco non resto fulminata stile gatto silvestro con lo scheletro in vista. Benvenuti in casa Gori, oserei dire. Appena in tempo ho riparato le cicciotte e dal davanzale le ho spostate all'interno, dove il termosifone spara a tutta pompa. Se ne son state lì al sicuro con la tenda scostata a guardar fuori la neve che immobilizzava la città. Sommerso il pomodoro, congelato, ho camminato sulla neve sul ghiaccio infime sulla pappa nera. In alcune piazze grassi omini di neve. Tutti senza motori per due giorni. Poi è ricominciato tutto, o quasi. L'odore dell'inquinamento è più forte nell'aria fredda e ferma. Una poltiglia immonda porta via quel silenzio irreale e i tetti tornano visibili al passare dei giorni. Parecchi alberi restano monchi. Tutto si è fermato, soprattutto i trasporti. Ozio forzato, attese vane. Sogno di avere seni non miei, lascio perdere e non cerco un perché, trovo una passeggiata, un cinema, il signor Palomar, una pizza salata e alla fine, catartica, appare una pannacotta mammelliforme e tremolante alla fine di una bella cena. Come la città, anche io immobile in un rimuginare continuo. Nell'analisi minuta di cos'é come deve essere come vogliamo che sia. E come la città sotto alla neve, anche io nell'immobilità sparisco. Va bene la ricerca, ma non in corso d'opera. Prima c'é il vivere, con gli occhi aperti, ma anche un po' distrattamente, anche un po' a caso. Altrimenti ci pesa addosso un'armatura, si fanno impacciati i movimenti. E allora silenzio i pensieri, fermo il cervello, ascolto un po' più le trippe e cerco la quiete. Mi ritrovo un po', a forza di briciole mi sento come di nuovo centrata, ridefinita. Ricevo sorrisi e video d'amore inaspettati, parole belle, regali preziosi e mi commuovo davanti al monitor. La città è di nuovo quella di prima, fuori dai vetri. Impacchetto e guarnisco, arriccio nastrini, mi lascio un po' in pace. E qualche cosa la rimando a domani.
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Ovvia! Che sennò un tu godi punto!
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