mercoledì 12 maggio 2010

Visioni.

Gli amori folli, Alain Resnais 2009

Presa dall'ansia di far tardi senza il pomodoro arrivo al cinema prestissimo, camminando svelta in mezzo all'arredo urbano del cantiere. La strada è deserta e nella luce del quasi tramonto gli alberi brillano di verde e le locomotive di giallissimo. La terra smossa dove hanno demolito è punteggiata di pozze che riflettono il cielo, come minuscoli laghi bianchi nella terra nera, argentei. Il cielo a pecorelle, l'insegna ancora spenta, appena una luce a portare alla ribalta qualche tartina solitaria nella vetrina del bar chiuso. Tiro fuori la Lomo e adopro il tempo per passeggiare con gli occhi. Inquadro, storpio, click. Trac trac trac avanza la pellicola. Guardo, cerco, inquadro, raddrizzo, click. Trac trac trac avanza la pellicola. Scopro la bottega di un falegname, sbircio dentro a cancelli arrugginiti verso corti inoppugnabili e segrete. Mi fermo davanti alla facciata della mia scuola media. Attorniata da biciclette e rottami, via crucis all'uscita della stazione, mi meravigliano le rose che si affacciano dalla cancellata, e spuntano, e sbocciano, e si spampanano di rosso con più o meno blu a velare. Non credo di aver mai fatto caso alle rose, sempre che già ci fossero. Forse sì, c'erano, mancavano le mani che ce le offrissero, mancava ancora chi potesse fare dono di un fiore, chi lo sa. Mancava probabilmente anche l'idea di ricevere un fiore, roba da vecchi. Rischio di fare tardi, ritorno indietro dalla strada opposta e guardo il campanile spigoloso di Bartoli e Nervi. L'ho visto in un film, una volta, e non l'avrei riconosciuto. E poi il film. Al buio, senza saperne niente, al volo perché ho raccolto un invito e ho letto un muro su facebook. Non so di che parli, non credo di aver visto niente del regista, soltanto voglia di cinema, di sala buia e amici. E si parte. Si vola, anche, che con quegli occhialoni da barone rosso la protagonista fluttua tra operazioni chirurgiche da trapanatrice sadica e una liason di quasi stalking pensata scritta e telefonata. Scorci surreali, geniali nonsense, squarci grotteschi. Personaggi appena suggeriti per darti modo, forse, di trovare un senso a quello che quando esci ti chiedi se abbia voluto averne. Sì, ok, forse son questi, gli amori folli, roba che nasce da prima per qualcosa appena intuito, solleticati da una fantasia personale. Ci trovo dentro Tutti i nomi di Saramago in quel pensare una donna che è solo un documento. Ma poi non c'é slancio vitale, quanto un sadismo, un istinto omicida perfettamente in linea col personaggio accennato, che ha un qualche delitto nel passato e vorrebbe strangolare una donna per il suo cattivo gusto di uno slip nero sotto a un pantalone bianco. E in tutte quelle scarpe iniziali c'é un po' il Truffaut dell'uomo che amava le donne ma sbuca fuori anche il monologo di Moretti e del secondo soprattutto quella storiella brutta del Ti amo e sono un mostro, che sono cose che non vanno insieme e se stanno insieme c'é qualche problema. Il problema si risolve se gli amori folli li si fa fuori, son troppo complicati e allora suvvia, mettiamoci una cerniera lampo che diventa vergognosa, di un cattivo gusto inaccettabile, una cloche che non si raddrizza e ritorniamo al trito duetto amore e morte. Che tutta la complicazione si appiana e svanisce tutto quel balletto surreale come se si suggerisse che tanto non avrebbe portato da nessuna parte. Restiamo a lungo davanti al cinema a elencare scene che ci han più o meno basiti, di tutto l'ambaradan rimane solo un Mah meravigliato e senza giudizio, scettico e scafato insieme. Mi ci voleva, questa botta di cinema.

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