venerdì 5 febbraio 2010

Boia.

Livorno, Terrazza Mascagni, gennaio 2010
Ripenso al film di Virzì e ai commenti che arrivavano dalle poltroncine di dietro. Del film in sé non si può dir nulla, è un inno alla vita, vero e proprio. Trasuda calore umano, travaglio, speranze, rancori, sentimento, difficoltà e voglia di vivere e giocare. E te ne stai lì e tutto ti viene incontro con leggerezza e ti accorgi a un tratto che ti travolge qualcosa di forte. Dalle poltroncine di dietro però sono arrivate parole grosse, parole troppe, direi. Virzì è un genio. Ora. Virzì è bravo. Ha avuto l'arguzia e l'intelligenza di giocare a Livorno, scena mai svelata prima. Ma da qui a dire che è un genio mi pare roba grossa. Che scava scava a sezionargli il film non è che ha poi inventato niente. Chi ha letto i libri di Brunella Gasperini quei personaggi ce li ha già tutti. I fratelli dolorosi e muti, le belle donne svampite ma buonissime che ci sono e non ci fanno e che comunque poi finiscono male in un modo o nell'altro, le chiacchiere e la morale di paese, la fedeltà, lo sguardo lieve nei momenti pesanti e una sorta di giustizia silenziosa, l'infanzia sballottata in ciabatte e scene piovose e fredde, gli sguardi muti e gli abbracci ritrovati. Verrebbe quasi da pensare che alla fine Virzì gioca sul facile, su un melò d'annata da romanzo d'appendice, che dentro ha tali e tanti materiali che ndo cojo cojo vi fo piagnucolare tutti, senza scampo. Sicché Virzì è un genio anche no. La prima cosa bella è un bel film, sì.