mercoledì 22 aprile 2009

Sviluppi.


Il grande scoramento e l'incazzatura che mi hanno colto nel pre-inaugurazione sono stati mitigati e elaborati nel corso della serata grazie al fatto che la mano in verità me l'hanno tenuta, che una volta riaperta la porta chiusa a chiave è stato tutto più semplice e ho diluito tutto nello scorrere di volti. Sarà stato lo squillo delle trombe degli sbandieratori che erano solo una banda e hanno bandato e non sbandierato. Sarà stato quel nastro tricolore che a un certo punto era tagliato e pareva si desse il via a chi lo sa che storia nuova e anche solo a pensare che non ci sarebbero stati più traumatici sviluppi mi son venuti i birividi. Oppure sarà stato il sentire il sindaco parlare di una Firenze più migliore, che avrei voluto alzare la manina e dire "Guardi il Comune ha degli ottimi corsi serali!!" ma mi sono limitata a commentare con il tipo dietro al tavolo dei secondi piatti. Le tante chiacchiere pompose non ci hanno risparmiato un cretinissimo "Qui era una selva di rovi" e ci sarebbe stato da RIalzare la manina e dire "Ma no, guardi, i rovi no. C'erano susini, meli, un albicocco e un ciliegio. E poi un pero con un tronco di quasi un metro, che per un pero vuol dire essere storico! E poi la vigna e i pomodori e il giuggiolo il nocciolo e il lillà. E poi il noce, che con il mallo delle noci cara signora si può fare una mecca spettacolosa, ma lei non lo sa mica che cosa sia la mecca, però di certo saprà che cosa sono le violette. E qui ce n'era un tappeto e un altro era nel chiostro del Mescoli, il tornitore. E poi fiorivano i topinambour e anche i giacinti, così, spontanei. E i tulipani, sempre sette ogni anno, che dal corridoio azzurro, dai vuoti lasciati dall'edera sui vetri si vedeva un gran verde con macchie lilla e sprazzi rossi che nessun pittore qui dentro sarebbe stato buono a tanta poesia. E poi l'alloro, che quello l'hanno lasciato, un pennacchio insulso in un angolo. E la pazienza, quella ce l'hanno strappata e invece erano così belli quei fiori bianchi e carnosi. Poi arrivava la vitalba e inglobava tutto. E l'edera! Quanta edera a ricoprire tutto e a rivestire il muro. E le parietarie? Morivo io con le parietarie. Povera vetrella! E in mezzo a tutto il verde c'era anche una scultura e qualche sedia di metallo per quando ormai raramente capitavano i figlioli o i nipoti o comunque qualche picnic domenicale. E scorrazzavano i merli e le lucertole e anche qualche pantegana se il cane del ferraio era distratto e una volta in quel giardino intricato e selvaggio mi ci è cascato il gatto dal primo piano. E son dovuta correr giù a recuperarlo, povero bischero impaurito, mi son dovuta strascicare sotto il verde. Ma neanche una puntura, signora mia, perché qui rovi, glielo possiamo ben dire. Mai." e invece no, si tace e si borbotta e si lascia andare, che altro che rovi. E inizia la mangiata, inizia il bere e il far la fila, socializzare, salutare, conoscere. Ci si rilassa. E poi si braca. Si gira per botteghe curiosissimi, che qualcuno ha aperto, qualcuno fa protesta tardiva e qualcuno ha scantonato e non si è proprio fatto vivo, lasciando le finestre buie e la bottega oscura. Si raffresca e si rientra mentre si esibisce un coro che non si sa che cosa c'entri con quel repertorio, che in un pezzo di storia simile potevano esibirsi in qualche canto partigiano in memoria di Potente, qualche stornello di lavoratori, qualche vecchio pezzo fiorentino popolare o al limite in un coro degno delle suore, un O Ecclesia di Ildegarda, uno Spadaro o un Mamma un mi mandà fori la sera, tanto per dire ma alla fin fine tanto ormai chi ci sta più a sentirli e forse meglio che non sia piovuto. Apro la porta e ricevo visitatori non espressamente invitati. Ma per questa sera si può sgarrare. Che poi tanto in quel mio casino quasi nessuno si avventura, ma io mi impegno e appena trovo un pollo inizio. Racconto. Il convento, la storia, gli artigiani. E' più forte di me. Il convento mi fa parlare, mi esce fuori, mi imbarazzo per tanta logorrea ma non riesco a tacere. Inizio timida poi forse esagero. Forse per sentire vivo quel che era e non è più e mi sta solo dentro. Qualcuno è attratto dalle mie cornici, qualcuno dal marasma, qualcuno avverte solo un insistente odore di umido e di muffa. Una tipa entra chiedendo "Come si chiama lui?" col tono di chi ha la risposta sulla punta della lingua e io basisco. Perché so riconoscere San Rocco dal cane, San Sebastiano dalle frecce, Santa Lucia dagli occhi in mano, ma io riconoscere un papa dalla faccia proprio mai me lo sarei immaginato e allora la tipa esce come fosse stata toccata dalla mano pustolosa di un ammalato della lebbra dell'ignoranza e io mi sento proprio una capra ma coerente. Insomma. Coerente. Il mio laboratorio sta proprio nel percorso della conoscenza, avrei dovuto saperlo che Gregorio Magno si riconosce dal viso. Mentre vengo via faccio una foto a quelle indicazioni. Pare che richiamino il Centre Pompidou e noi che cosa c'entri il Pompidou col Conventino non si riesce ad arrivare a capirlo. Il simbolo poi è del Cubase, si vede che C per C bastava un simbolo seppur di un'altra cosa. Effettivamente scegliere le iniziali del Vecchio Conventino non sarebbe stato fine. Comunque le ho fotografate perché le trovo... non lo so... evocative forse. A guardarle non so se pensare all'alchimia dell'Opera al nero o a quella fava di Harry Potter.

2 commenti:

  1. Mi è come sembrato di essere là davvero.. ora invece ho una lacrima che tenta prepotentemente di uscire..

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