lunedì 2 marzo 2009

Il gigante.


Nella vecchia cella 19, in 7 metri per tre, il grosso dello spazio era occupato da una cosa lasciata lì dal precedente proprietario. Il vecchio C******, argentiere, soleva stampare con questo bilancere le lastre d'argento e farne vassoi, portafoto e chi lo sa quale altro soprammobile. Dalla parte della finestra c'era una botola, dentro la quale si calava l'argentiere che così lavorava all'altezza del pavimento. Io non ho mai avuto il piacere e il terrore di vedere in azione il mostro ma l'ho sempre trattato con enorme deferenza, perché anche se gli avevano staccato i fili e la data impressa a mano nella gettata di cemento che lo teneva lì rivelasse la sua natura di archeologia industriale, già solo guardandolo era possibile intuire la vibrazione lunga che il colpo inferto era stato capace di infliggere al convento. I primi tempi in cui si chiacchierava di spostamenti io lo indicavo sorridendo a chi ci parlava della ristrutturazione e gli dicevo che spostare me avrebbe significato grossa spesa, visto il bambino che avrei dovuto portarmi appresso. Ma io bluffavo e loro invece non scherzavano e quando la cosa si fece effettiva l'enorme bilancere divenne un grosso macigno doloroso, un altro morso di quella sofferenza tenace che ha impregnato chi ha visto i pezzi del conventino sgretolarsi e finire. Furono, ma non da me, provate molte strade per affidare il gigante silenzioso a qualche museo, così mi dissero, ma non ci fu modo e a malincuore, sentendomi traditrice, mi vidi anche costretta a fare un foglio da avvocati che quel cosone io l'avevo trovato lì e non era affar mio liberarmene. Firmai nero su bianco quella falsa indifferenza e il giorno che lasciai per sempre la cella 19 sgorgarono amare lacrime che mi fecero vergognare doppiamente.
Per mesi non ho alzato mai gli occhi verso quelle finestre perché sapevo che non l'avrei rivisto più e solo dopo mesi ho potuto sopportare la vista delle sue enormi ruote lasciate alle intemperie nel macello del cantiere. L'ultima volta che l'ho visto era impacchettato malamente, ai piedi della scalinata d'ingresso e non mi sono voluta chiedere perché fosse lì. Adesso son molti giorni che non vado al convento, un po' per gli impegni e un po' perché andar lì significa dover affrontare un piccolo dolore che rimando volentieri. Ma quando ci tornerò forse vedrò una cosa nuova e inaspettata, perché mi hanno chiamato stamattina dal cantiere chiedendomi a cosa servisse e cosa fosse quell'aggeggio, che stavano preparando non so quali cartelli. Forse ne hanno compreso la bellezza e resterà tra le mura del convento a futura memoria. O forse lo piazzeranno in giardino ad arrugginire, gli stronzi.
Segno su un pizzino un appunto veloce: indagare quale tipo di grasso lo proteggesse.

1 commento:

  1. l'idea del museo "archeologico industriale" non era popo male, peccato...

    RispondiElimina