mercoledì 10 aprile 2013

L'Elvira.

Guardo. Guardo intorno e cerco e vedo sempre più precarietà, incertezza, fragilità, fughe da fermi, assenze. Fa paura, fa paura quasi tutto e alla fine non c'è voglia. I rapporti cambiano, diventa tutto faticoso e astratto. Io guardo e mi guardo e sto ferma. Forse al sicuro, forse a marcire. Prendendo un caffé mi son trovata a guardare altrove, aspettando che il device onnipresente venisse riposto, continuamente trillante. Connessione costante, chat, messaggistica, dipendenza da sogni, forse. Speranze traslocate nel virtuale. Osservo, mi guardo e mi seziono. Come sempre. Mi vien da pensare a Vasco Pratolini, a quel libro poderoso che mi portai in campeggio e che ha le pagine ingiallite. Era Lo scialo. O forse mi confondo e invece la scena era nella storia breve di Metello. Ricordo che c'era questa dirimpettaia che dal terrazzo faceva capolino. Era davvero l'Elvira o confondo pure i nomi? Non so. So che il marito, sempre distratto, stanco di una moglie incinta o sempre uguale era finito nella tresca con la vicina e finiva tutto a schifìo, si accapigliavano, le donne, per quell'uomo da poco. E allora penso a come la rete ci confonde con i suoi monitor, laghetti di narciso dove diventa semplice passare il tempo in una comunicazione che si racconta addosso. Come cambiano i rapporti, con la rete di mezzo. E adesso con gli smartphone, che grande illusione. Si montano come il bolo quando lo giri nel barattolo passioni fatte di parole che si fagocitano. Il raggio d'azione diventa ampio. Prima si consumava sul pianerottolo, erano occhi ed era subito pelle, era subito corpo. Ormai no, si passa tutto dal tritacarne dei device. C'è in tutti, pare, un gran bisogno di scappare. E allora via, si prende un treno al volo, pronti a farsi sconvolgere la vita. Si resta appesi a un trillo. Il cellulare sempre in mano, sempre in mezzo, piccola porta per un altrove distante che si sgretola in chilometri di distanza, attese, segnetti che non sono pelle, non sono odore, non sono occhi. A furia di guardare lo schermo retroilluminato chattando con noi stessi finiamo per non vedere più il nostro vicino di casa. Che comunque, anche lui, sta chino a smessaggiarsi con qualcuno dall'altra parte del globo. L'Elvira, in biancheria, fuma sulla terrazza. Lei non ce l'ha la connessione. Si gode il sole, il verde che spunta nei vasi, l'odore del caffé che sale nella macchinetta. Fuma e guarda dentro le case in penombra il riverbero freddo dei monitor accesi.



4 commenti:

  1. Ti ritrovo amara.. mi spiace!
    L'altrove è sempre stata una via di fuga allettante, io credo. E' solo che ora, a torto o a ragione, ci sembra essere più a portata di mano.

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  2. Nu nu non sono amara!
    E comunque mi sa che: non era Lo Scialo ma era Metello. Non era l'Elvira ma era l'Ersilia. Non era l'amante, era la moglie di Metello, che si faceva giustizia da sè e prendeva a labbrate la ganza di Metello, la bella Idina e le gonfiava il viso.
    Rileggermi lo Scialo per ritrovare la scena che dico sarà più difficile. Ahahahahahah

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  3. Io ancora adesso non lo cago lo smartphone se c'è qualcosa nel mondo attorno a me che merita di essere osservato :) via i telefoni, via la tecnologia quando sbocciano i fiori, il cielo azzurro e il tepore del sole si rigenera. Tengo tutte le persone lontane nella mia mente e quando torno a casa magari le contatto tramite i nostri pc di Satana, ma la vita quotidiana, quella merita di essere vissuta :)

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  4. :-)
    Comunque rileggendoti ora, credo di capire, e condivido certi stati d'animo. Quel sentirsi sempre fermi, stagnanti... quella sensazione che invece intorno tutto comabi, gli altri cambino, che vadano avanti e ti lascino indietro, e già ti mancano. nodo alla gola.

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