martedì 4 dicembre 2012

Paese che vai zone industriali che trovi.




Zona industriale, a Partridge Green

Le cose sono cambiate e niente più incontri al sushibar. Sono calata di nuovo nella più mia quasi realtà fantozziana, fatta di pendolarismo incertezza e imprevedibili risvolti. C'è stato un bell'intermezzo che mi ha impegnato solo tre giorni ma che mi ha tirato molto su il morale. Direi che è solo una quasi realtà perché comunque ci sono molti elementi che rendono tutto più sopportabile, anche la sveglia che suona alle cinque e trenta e mi costringe a fare i turni con il padrone di casa per evitare di litigarci nella doccia. Ho scoperto che il tapino all'alba si veste sul pianerottolo per non svegliare la famigliola dormiente e quindi rischio di trovarlo in pieno immutandamento proprio sotto alla mia scaletta della morte. Dall'abbaino a quell'ora schifa stamattina entrava solo il cielo terso e nero e le stelle erano nettissime. Davano l'idea di un freddo vetrino e la luna era ghiaccissima. Non oso pensare alle albe in cui pioverà. Da casa al nuovo lavoro ci vogliono due autobus per due tragitti da un'ora l'uno. Il primo ormai mi è familiare e mi porta dalla nostra ridente collina bucolica e verde che al mattino mi regala i cavalli col mantello a brucare dietro casa, fino alla piazza dove pullulano i traffici e c'è il centro commerciale. Nella stessa piazza ferma anche l'autobus che mi porta al nord, verso una zona industriale che non mi attirava per niente. Per rendere più fracile tutta la faccenda gli autobus da lì al lavoro passano ogni ora. Questo scarto dà modo di passare molto tempo facendo people-watching. O, se come stamattina i gabbiani invadono la strada e gli storni il cielo, il classico bird-watching. Il lungo viaggio è rilassante, passare in mezzo al verde mi fa pensare a James Herriott e le mucche al pascolo e i cancelli fan mescolare le sue cose sagge e meravigliose alle colazioni con Whitnail. Seduta sul bus blu e arancione mi godo la gita con il mio abbonamento in tasca e avrei voluto fotografare il braccio tatuatissimo dell'autista, che dà il resto o i biglietti. Alla fermata prima di prendere l'autostrada lo vedo dallo specchietto che si concede un secondo di relax e dal thermos si versa una tazza di broda fumante. La appoggia a stemperare sulla mensolina dei pagamenti e riparte. Lungo la strada leggo nomi che cercherò di appuntarmi. Robe di boschi, di fate e passiamo anche un paesino che si chiama Campodigalline o forse sarebbe più bellino tradurlo direttamente come Aia. Un po' come la fermata di Hole in the Wall, che sì, sarà pure Buconelmuro, ma ha tutta un'altra classe se fosse Prossima fermata: La Breccia. La toponomastica mi fa compagnia fino all'arrivo e rende il tutto leggero e poetico. Quando il tatuato mi grida la mia fermata scendo emi trovo in mezzo a un posto che di zona industriale non ha niente. E vo a naso pensando al tragitto visto su Google Maps. Percorro una specie di pista da cavalli di fianco a una strada attorniata dal bosco. E sbuco in una zona che è come la nostra collina verde. Casette, qualche grosso comignolo e un po' più di cemento, ok. Ma camminabile, con prati e marciapiedi puliti. E grandi cartelloni che identificano ogni capannone e le compagnie che li occupano. Niente a che vedere con i nostri non luoghi. E dato che nella fabbrichetta accanto al nostro edificio c'é una Brewery, stasera uscendo sono stata investita da un nuvolone di vapore profumato che sulla prima mi sembrava odore di brodo, poi vista la quantità e il vento a favore si è piano piano definito. Anche questo aiuta.



1 commento:

  1. Bello leggerti e pensare di essere lì accanto a fare people watching... Coraggio!

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